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Morì dopo la lite, il giallo delle ferite dell’imputato

Parla in aula la dottoressa del pronto soccorso che per prima visitò Boccagna e che non vide le tre ferite sulla schiena: «Ma per auscultare il torace, potrei non aver alzato la maglietta che indossava»
A sinistra, Alessandro Boccagna con il suo difensore Lorenzo

GROSSETO. Le ferite alla schiena lamentate da Alessandro Boccagna, sei giorni dopo l’aggressione avvenuta il 23 luglio 2020, non furono viste dal medico di pronto soccorso che visitò l’uomo il giorno stesso in cui scoppiò la lite in via della Dogana. 

O almeno, nel referto del pronto soccorso, di quelle due ferite, non c’è alcuna traccia. 

La visita dopo l’aggressione

Boccagna, ex militare del Savoia a processo per omicidio preterintenzionale, arrivò al pronto soccorso alle 9 del mattino, un’ora e mezzo dopo essere stato aggredito – ha sempre sostenuto – da Ivo Tamantini, 78 anni, deceduto un mese dopo all’ospedale. 

La dottoressa che era in turno quella mattina, mercoledì 17 maggio, era in aula, per rispondere alle domande della corte, presieduta da Laura Di Girolamo (giudice Marco Bilisari). È stata la presidente ad incalzare la dottoressa, per capire se quella mattina, durante la visita, avesse potuto vedere le ferite sulla schiena del militare. 

«È possibile che non le abbia viste – ha spiegato – Altrimenti le avrei riportate nel referto. Ma per visitarlo, se aveva indosso la maglietta che mi avete fatto vedere, probabilmente non gliel’ho fatta togliere». 

Da sinistra l’avvocato Lorenzo Borghi, Carlo Valle e a destra il pm Salvatore Ferraro

Era fine, ha spiegato il medico, e non c’era bisogno che l’uomo si spogliasse. Una spiegazione, quella della dottoressa, «valida per ogni paziente – ha precisato – perché di quella visita non ricordo assolutamente nulla», ha spiegato, rispondendo alle domande del sostituto procuratore Salvatore Ferraro e all’avvocato di parte civile, Carlo Valle. 

Un nuovo incarico al Ris

L’esame della dottoressa, quindi, non è servito a chiarire se quelle ferite che l’uomo ha denunciato alla polizia sei giorni dopo l’accaduto, se le fosse procurate o meno durante l’aggressione. Cioè se fossero state provocate da un colpo dato con la zappa sulla schiena del militare. 

Difeso dall’avvocato Lorenzo Borghi, il cinquantaquattrenne non si sarebbe accorto, subito dopo l’aggressione, della presenza di quelle ferite. Sulla maglietta che indossava, non sono state trovate tracce di sangue. La maglietta – è emerso durante il processo – era stata lavata prima di essere sequestrata dalla polizia. 

Giovedì 18 maggio si torna di nuovo in aula, questa volta per affidare ai carabinieri del Ris un nuovo incarico: quello di analizzare le telecamere di videosorveglianza installate all’esterno dell’abitazione dell’ex militare. 

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