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Una vita sul camion per 1.000 euro al mese

Caro carburante: il racconto di un autotrasportatore di Grosseto che, in poco più di due anni, ha perso la metà del guadagno a causa dei rincari
Un'autocisterna
Un’autocisterna (foto d’archivio)

GROSSETO. Paolo – il nome è di fantasia – fa l’autotrasportatore dal 1987. Ha iniziato questo lavoro come dipendente non appena ha potuto prendere la patente per il camion. Nel 2011 si è messo in proprio e oggi ha un’attività con due mezzi, due motrici cui a breve se ne aggiungerà un’altra, e due dipendenti. Al volante della sua autocisterna, gira in lungo e in largo l’Italia trasportando prodotti chimici liquidi per grandi aziende.

Parte da Grosseto ogni lunedì mattina verso le 3 e rientra a casa il venerdì sera tardi, quando va bene. Sennò direttamente il sabato mattina.

Sacrifici, rischi e fatica per un guadagno da fame

Una vita sul camion, macinando migliaia di chilometri, dormendo nella cabina attrezzata di cui sono dotati i mezzi moderni, mangiando nelle trattorie lungo strada. Un lavoro pieno di sacrifici, ma che ha scelto, gli piace e non cambierebbe con un altro. Lo stesso che faceva il padre. E che fino a qualche anno fa lo ripagava con un guadagno accettabile.

Ora non è più così. Paolo, a fine mese incassa tra i 30 e i 32.000 euro, dei quali gli restano in tasca “puliti” non più di 1.000

«500 euro a camion – spiega – su 15-16 mila di incasso lordo ciascuno. Con l’arrivo della terza motrice saranno 1.500 euro, assai meno di quello che riuscivo a guadagnare quando mi sono messo in proprio, ma l’ho presa proprio per vedere di incrementare la mia entrata». 

In principio è stata la pandemia

Ma dove vanno a finire le altre migliaia di euro dell’incasso? Il conto è presto fatto: gasolio, stipendi, autostrada, bollo, assicurazione, manutenzione. Aumentati vertiginosamente con la pandemia prima, con la crisi della guerra in Ucraina poi.

Pima del lockdown il costo al litro del gasolio era tra 1.30 e 1.35 euro, iva esclusa. In più, agli autotrasportatori venivano rimborsate le accise con la cifra forfettaria di 280 euro ogni 1.000 litri di gasolio. In questo modo il costo del carburante scendeva a circa 1.10 euro al litro, iva esclusa.

A partire da giugno 2020, il prezzo è progressivamente aumentato, per arrivare fino a 2 euro. Poi il governo ha tagliato le accise di 28 centesimi al litro e il prezzo è sceso a circa 1.70. Sempre molto più alto del pre-pandemia, ma ancora accettabile. Una boccata di ossigeno, che ora è finita trascinandosi dietro l’impennata di tutti i costi, da quello del caffè e del panino, che chi viaggia è costretto a consumare per strada, a quello di pedaggio, a manutenzione e pneumatici.

Le “maledette” accise

«Percorro come minimo 10.000 chilometri al mese. Una motrice come le mie, che ha una capienza del serbatoio da 1.200 litri e una potenza di 500 cavalli, fa 3.3 chilometri con un litro. Dunque 3.300-3500 litri di gasolio al mese per ogni motrice, che significa almeno 14.000 euro solo di carburante. Peraltro, per ogni pieno siamo obbligati ad aggiungere un additivo, l’AdBlue, per la riduzione delle emissioni inquinanti, in proporzione di 10 litri ogni 100 di carburante. Prima costava 33 centesimi, ora è schizzato a 1.50 al litro. Ci viene riconosciuto un minimo sconto, ma è poco più di un pannicello caldo», spiega Paolo.

Con la reintroduzione delle famigerate accise, infatti, in pochi mesi il carburante è aumentato di 50 centesimi al litro. E non è solo questo il problema, perché insieme all’incremento di tutti gli altri costi del trasporto, ha causato una reazione a catena che termina nelle tasche dei consumatori.

«I miei due operai – riprende Paolo – mi costano circa 4.000 euro al mese, poi ci sono le rate del camion, altri 6.000 ed ecco spiegato come si arriva ai 1.000 euro che rimangono in tasca a me. Prima della pandemia erano almeno il doppio. Un altro esempio: le gomme. Lo scorso anno costavano circa 450 euro l’una, ora sono salite a 600. Ogni motrice ne monta 6».

Tante piccole aziende di autotrasporti chiudono

La crisi morde, anche se il compenso per gli autotrasportatori da parte dei committenti viene ricalibrato. E sono sempre più numerose le ditte medie e piccole che decidono di chiudere perché non ce la fanno. Resistono le più grandi, quelle ben piazzate sul mercato che hanno molti camion e che godono di altri tipi di benefici in quanto risultano attività industriali. 

«Io voglio andare avanti. Prima di tutto perché faccio questo mestiere per passione. Poi a quasi 60 anni, cosa mi metto a fare? Amo il mio lavoro, lo faccio da quando di anni ne avevo 21 e sognavo un’attività tutta mia. Certo, se avessi immaginato come sarebbe andata, sarei rimasto un dipendente, con un buon stipendio assicurato e meno grattacapi. L’incertezza, in ogni caso, c’è anche così ed è anche peggio», conclude Paolo.


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