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Cia e Coldiretti: «Agli aumenti, si sommano le predazioni»

La coincidenza dell’aumento dei prezzi e delle predazioni rischia di mettere in ginocchio gli allevatori, con effetti su tutta la filiera lattiero-casearia e non solo
Una vista ravvicinata di un profilo di un canide

GROSSETO. Dopo l’aumento delle bollette e delle materie prime, il settore zootecnico, in special modo quello degli allevamenti ovini-caprini, esce dal 2021 ulteriormente fiaccato di danni delle predazioni. Aveva iniziato Antonella Vivarelli Colonna, qualche giorno fa, parlando della sua situazione a contatto coi lupi. Estendendo il discorso a chi fa allevamento fuori dal parco dell’Alberese. Nello stesso periodo anche le associazioni di categoria hanno alzato di nuovo l’attenzione sul tema, da tempo informate dei continui attacchi e della difficoltà che il settore zootecnico sta soffrendo sul nostro territorio.

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La Coldiretti Grosseto, infatti, tuona: «La scure delle predazioni e del rally dei rincari di gasolio, energia elettrica e mangimi affossano gli allevamenti ovini-caprini grossetani. Non c’è pace per gli allevatori, che sono alle prese anche con la più alta frequenza di predazioni di tutta la Toscana che è già costata, in pochi anni la chiusura di una stalla su quattro (-25%) e che ora devono sopportare da soli tutto il peso dell’impennata delle materie prime».

Milena Sanna, direttrice Coldiretti Grosseto

Nel grossetano, terra di allevatori specializzati soprattutto nelle razze ovine, l’incidenza dei predatori (per la maggior parte canidi ed ibridi) pesa in maniera significativa sulla pastorizia e sulla resistenza delle imprese spesso situate in zone marginali, svantaggiate e difficili. Secondo una elaborazione di Coldiretti, sulla base degli indennizzi del 2019, più di un’azienda su due (64%) danneggiata dai predatori si trova nel grossetano, un territorio a cui sono andati più della metà del totale degli indennizzi (68%). Il numero crescente di predazioni, in questi anni, hanno contribuito alla drastica diminuzione del numero delle stalle, che hanno chiuso.

Enrico Rabazzi, direttore della CIA agricoltori di Grosseto è dello stesso avviso: «Le predazioni rischiano di non fare più notizia, ci sono attacchi giornalieri. Il danno al settore zootecnico è ingente, ed è una vergogna della politica, in 20-30 anni non sono state messe in piedi soluzioni valide. Il problema è difficile da risolvere, ma non può essere messo tutto sulle spalle degli allevatori. Molti cercano di sopperire come possono, ma non possiamo neanche vedere le nostre campagne tutte contornate da reti elettrosaldate anti-lupo né riempite di cani da guardiania. Lo stesso discorso vale per i cinghiali. Ora sembra una epidemia potrebbe mettere a rischio la loro specie. Ma non possiamo pensare di risolvere i problemi aspettando l’epidemia di turno che li risolva al posto nostro».

Enrico Rabazzi, direttore Cia agricoltori Grosseto

«Chi se ne fa carico di questo problema? –  chiede Enrico – Forse a molte persone non le tocca. Ma trovare il risultato di predazione la mattina quando si va al lavoro, è come partire da casa già con 400-600 euro in meno “quando va bene”. Vedo che molti si arrabbiano se mancano 20-30 euro in busta paga. L’attacco di un predatore al gregge, è un attacco non solo agli animali, ma anche al reddito, alla pensione, e al lavoro, ogni volta che capita. Fin quando non si è in grado di risolvere il problema, non si può lasciare che gli allevatori diventino invisibili, non si può avere un danno che pesa sulla testa di pochi. Chi prova a difendersi con i cani, affronta costi più alti e si aggiungono problemi. Il settore è pieno di aziende che chiudono, senza nuovi subentri, senza nuove aperture.

Pecore di razza sarda nell’ovile

Le proposte delle associazioni

La Coldiretti Grosseto, diretta da Milena Sanna, fa proprie le parole di Fabrizio Filippi (Presidente Coldiretti Toscana e Delegato Confederale): «La coincidenza di due fattori così devastanti, come la predazione, fenomeno a cui oggi le istituzioni non sono ancora riuscite a dare una risposta concreta se non con risarcimenti recinzioni anti-lupo poco efficaci, e i rincari di queste settimane sono destinati, senza una presa di responsabilità dell’intera filiera con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore per salvare aziende agricole e stalle, complicare sempre più la sopravvivenza delle aziende. Questi accordi devono andare oltre questo momento perché non possiamo pensare di produrre Made in Tuscany di qualità, sinonimo di sicurezza, territorio e sostenibilità, a queste condizioni. Senza le stalle e senza le cooperative che producono formaggi ed altri prodotti di qualità la Toscana perde la sua identità».

«L’eccezione – ricorda Rabazzi- a volte capita. Prima le predazioni erano eventi eccezionali. Ci sono eventi naturali eccezionali che però si verificano, può succedere, raramente. Ma non deve essere la regola, così per le grandinate o altri fenomeni. Se si verificano con frequenza, non è più una eccezione, ma una ricorrenza, una abitudine. Come associazione chiediamo una visione più pragmatica e realistica del problema. Lo Stato se ne deve fare altrimenti carico, non con i soldi del piano di sviluppo rurale, ma con altri fondi appositi, visto che c’è sensibilità per alcuni animali piuttosto che per altri. Come ci facciamo carico per le casse integrazioni, lo stesso andrà fatto con il risultato delle predazioni. L’essere umano ha comunque il dovere di ristabilire un equilibrio, è colpa nostra se ci sono quegli animali in sovrannumero».

«Per ogni allevamento che chiude – conclude Rabazzi ci perdiamo tutti in ambiente, paesaggio e posti di lavoro. Il PIL diretto dell’agricoltura sarà “solo” il 2-3% del totale, ma l’agroalimentare arriva già al 15%, e poi il resto dei mercati connessi? Le produzioni di qualità se mancherà la materia prima, non potranno più avere i bollini DOP o DOC, perché ad andare avanti così non ci sarà più il latte del territorio, e quello che arriva, arriverà da fuori. Senza latte anche i caseifici e chi lo lavora saranno quindi in difficoltà, poi lo sarà la ristorazione, poi i generi alimentari. Poi senza produzioni, niente trasporto, niente più servizi annessi. Insomma, un effetto domino. Forse ad alcuni non sembrerà, ma il settore primario non si chiama primario a caso, e come altri settori più “popolari”, muove anche altre economie, oltre che a essere fonte di sostentamento».

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