Peste suina, si teme per gli allevamenti di maiali | MaremmaOggi Skip to content

Peste suina, si teme per gli allevamenti di maiali

L’Asl: «La situazione è costantemente monitorata e, al momento, non risultano casi nei suini nelle aree in cui la peste è segnalata»
Un cinghiale femmina con i piccoli

GROSSETO. C’è preoccupazione in Maremma per i focolai di peste suina africana  in Lazio. Si teme soprattutto per gli allevamenti di suini e per l’indotto legato alla trasformazione e alla vendita di carni e salumi. Ma anche per le misure di contenimento dell’epidemia, poiché, nelle zone “rosse”, vengono vietate escursioni, trekking, sport e altre attività sportive e ricreative.

E ci sono anche perplessità sulle strategie contro la peste adottate nel Lazio, sollevate dalle associazioni di categoria dell’agricoltura. In particolare dalla Confederazione italiana agricoltori (Cia) di Grosseto che, per voce del presidente, Claudio Capecchi, si interroga se le misure prese dalla regione confinate siano sufficienti per stroncare la diffusione dell’epidemia, che dai cinghiali potrebbe passare ai suini

«Temiamo per le ripercussioni su tutto il patrimonio zootecnico suino – afferma Claudio Capecchi – perché, in caso di passaggio dai cinghiali ai maiali, le norme europee prevedono l’abbattimento degli animali domestici in cui è stato riscontrato il focolaio. Ma siamo preoccupati anche per le inevitabili  ripercussioni sul commercio comunitario e internazionale di animali vivi e dei loro prodotti.

Per tali motivi è difficile comprendere perché in Lazio non siano state introdotte misure fortemente restrittive come quelle imposte nelle zone rurali di Liguria e Piemonte, con chiusure di interi comuni ad ogni tipo di attività, agricola, forestale e turistica», aggiunge, auspicando che vengano adottate le norme di biosicurezza previste nel Piano nazionale e la sorveglianza passiva sia nel settore domestico che selvatico».

I rischi per gli allevamenti e l’indotto

«La Toscana conta 124.256 capi a rischio contagio dal virus, che dal cinghiale selvatico si trasmette rapidamente alla popolazione suina con una letalità superiore al 90%, mettendo a repentaglio la produzione di pregiati insaccati. La diffusione nella nostra regione comporterebbe la macellazione d’emergenza in via cautelativa di tutti quei suini allevati allo stato semi-brado, più a rischio di contrarre l’infezione (circa 25mila), con grave danno anche per la biodiversità

Grave la ricaduta economica stimata: circa 200milioni di euro, il valore della produzione del settore in Lazio e Toscana, cui si potrebbe aggiungere anche l’Umbria. Senza contare il rischio dell’adozione di misure restrittive dell’import di carni suine da parte dei Paesi terzi, con danni pesantissimi alla filiera (1,6mld il valore dell’export), pregiudicando la qualità del marchio Made in Italy nel mondo», conclude Capecchi.

Briganti (Asl): «la situazione in Maremma è sotto costante controllo»

In questo momento, il problema del passaggio dell’epidemia ai suini è latente e, anche nelle aree della Liguria, del Piemonte e del Lazio in cui la peste è presente nei cinghiali, non sono stati riscontrati contagi di suini.

«Segno questo che le misure di contenimento adottate sono efficaci», spiega Giorgio Briganti, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl sudest che segue costantemente l’evoluzione della situazione.

In Toscana, tuttavia, la popolazione di cinghiali supera il milione di capi, c’è il rischio del  passaggio ai suini. Dunque il problema è difendere la zootecnia suinicola, con tutto l’indotto. «Il rischio maggiore riguarda gli allevamenti di animali bradi e semibradi, come la cinta senese e alcune genie autoctone, come la macchiaiola – aggiunge Briganti – alcune delle quali si stavano ripopolando».

«Da parte nostra, il servizio veterinario dell’Asl opera in collaborazione con le altre forze di polizia come i carabinieri forestali per tenere sotto controllo la situazione e prevenire la diffusione dei contagi, attraverso una serie di azioni coordinate che finora si sono dimostrate efficaci».

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