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La confessione dell’omicidio: «Ci siamo ammazzati»

La drammatica ricostruzione in aula del femminicidio: colpita con 28 coltellate. Poi ha tentato di darle fuoco
Elena e Adrian Luminita
Elena e Adrian Luminita

GROSSETO. Felpa grigia, pantaloni verde marcio. Si è presentato così Adrian Luminita, il 43enne marito di Elena Madalina, uccisa due anni fa a Capalbio.

È rimasto a testa bassa, seduto accanto al suo difensore, l’avvocato Paolo Malasoma, mentre sul grande schermo scorrono le immagini del corpo di Madalina martoriato da 28 coltellate e dai segni delle bruciature.

Ricoperta di sangue, vestita con i jeans e una maglietta a righe della quale non si riconosce più il colore e con gli occhi aperti.

Nell’aula di assise del tribunale di Grosseto, di fronte al presidente Adolfo Di Zenzo, alla giudice Laura Previti, la sostituta procuratrice Valeria Lazzarini ha chiamato a testimoniare il luogotenente dei carabinieri Giampiero Bagnati, della sezione di polizia giudiziaria della procura. Quello che Bagnati ha ricostruito in aula, sono i quattro mesi di lavoro dei militari che hanno svolto le indagini sul femminicidio di Capalbio.

È stato lui, aiutato anche dalle immagini trasmesse sul maxi schermo, a ripercorrere le tappe della tragedia, avvenuta il 6 dicembre 2020 nella villa di strada della Speranza, a Pescia Romana.

Giampiero Bagnati durante la ricostruzione dell'omicidio
Giampiero Bagnati durante la ricostruzione dell’omicidio

Uccisa da 28 coltellate

Adrian e Madalina vivevano nella dependance: l’uomo era il custode della casa mentre Elena Madalina lavorava come colf nell’abitazione di un imprenditore che lavorava poco lontano.

Alle 7.30 del 7 dicembre Adrian chiama i carabinieri di Orbetello.

«È successo un casino, ci siamo ammazzati». La voce di Adrian risuona nell’aula del tribunale, grazie alla registrazione della telefonata originale, registrata dalla centrale operativa. «Mia moglie è morta – aggiunge – non ce la faccio più».

Nella dependance arrivano i carabinieri e il 118: Adrian sarà trasferito alle Scotte di Siena, al centro ustionati, con gravi ferite addosso.

Quando i carabinieri di Orbetello sono arrivati, Adrian è uscito dall’abitazione completamente nudo, con addosso solo un paio di mutande. Lo hanno arrestato così. I vestiti erano nel giardino: si era tolto pantaloni e mutande con un unico gesto: erano bagnati, sporchi di sangue e con evidenti tracce di benzina.

Quaranta metri quadrati di abitazione: il corpo di Elena Madalina era di fronte porta a vetri, ricoperta di sangue e con segni di ustione addosso. Aveva gli occhi aperti e in quello destro è stato trovato un grosso frammento di porcellana bianca. Accanto alla testa della donna, tazze spaccate. Aveva un coltello nella mano sinistra. Impugnato al contrario. Sull’arma, analizzata dal Ris, non c’erano le impronte della vittima ma quelle dell’omicida.

Elena Madalina era stata colpita con 28 coltellate su tutto il corpo. Nella casa c’era un odore acre: la donna era morta da molte ore. Il suo corpo era ai piedi del divano, un divano contenitore dentro al quale i carabinieri hanno trovato grosse macchie di sangue. Una pozza, sotto al contenitore del divano. Il cadavere era rimasto lì sopra a lungo, prima di essere spostato al centro della stanza.

In cucina, poi, il caos. Alimenti per terra, uova spaccate, il frigorifero aperto, e nel forno un pesce già cotto e pronto per essere consumato.

Macchie di sangue sono state trovate anche nella zona notte della dependance, sia sul water che in camera. Sangue che apparteneva soltanto ad Adrian.

Un altro coltello, poi, è stato trovato tra i fili di un impianto stereo. Era quella l’arma del delitto utilizzata da Adrian per uccidere Elena Madalina.

Nella villa padronale non c’erano segni della presenza di nessuno, tranne nella camera degli ospiti. Adrian, dopo aver ucciso la moglie, era andato a dormire su quel letto, lasciando tracce di sangue e di cenere sulle lenzuola.

Per ricostruire le ultime ore di Elena Madalina i carabinieri hanno analizzato i telefoni di marito e moglie.

Altre risposte sono arrivate dell’autopsia fatta dal dottor Mario Gabbrielli, che ha trovato una lesione al fegato e due ai polmoni.

28 lesioni, 22 da coltello, 4 da scannamento e due da puntiforme. I carabinieri hanno sentito venti persone, che hanno aiutato i militari a ricostruire il femminicidio di Pescia Fiorentina.

Le ultime ore della vittima

L’ultima telefonata di Elena Madalina risale al giorno prima, alle 12.59 del 6 dicembre, quando passa tre minuti a parlare con la sorella. Le celle agganciate sono quelle della loro abitazione. Alle 13.42 invece Adrian riceve un messaggio su messenger.

Adrian risponde al suo contatto con una videochiamata di 28 minuti. Poi scrive sulla chat di gruppo dei romeni di Pescia Romana e infine alle 15.12 chiama il 118. Poi chiama un altro contatto, senza parlare, poi di nuovo chiama il 118 ma ancora una volta senza parlarci. Adrian continua ad usare il telefono. A chiamare persone delle quali ha il numero in rubrica ma senza parlare. Tentativi di chiamate che vanno avanti fino alla sera. Alle 7.26 del giorno successivo chiama i carabinieri per la prima volta.

Poi riprova per altre tre volte, fino alla telefonata delle 7.30.

L’omicidio sarebbe quindi avvenuto dalle 14.12, dopo la telefonata alla coppia di coniugi, la videochiamata da 28 minuti e il primo tentativo di chiamare il 118. Un’ora, sessanta minuti, per uccidere Elena Madalina.

L’avrebbe colpita alle spalle: la donna ha cercato di difendersi, fino a farla accasciare. L’avrebbe colpita davanti al frigorifero aperto, per questo tutto quello che c’era dentro era caduto per terra: perché Madalina si era appoggiata ai ripieni, facendoli venire giù.

Si è accasciato sul divano, appoggiandosi alla spalliera e lasciando poi una pozza di sangue nel contenitore. Poi è stata trascinata al centro della stanza, dove Adrian ha cercato di bruciarla dopo averla cosparsa di benzina, appiccando il fuoco con un accendino.

Anche lui è rimasto ferito dal fuoco: anche lui ha riportato un’ustione estesa sul davanti del corpo. Per questo esce da casa e si spoglia in giardino, per poi “spegnersi” con dell’acqua. Poi rientra e infierisce di nuovo su di lei: la accoltella ancora, prima di nascondere l’arma utilizzata e prima di metterle nella mano sinistra il coltello.

Il coltello nero lo aveva utilizzato lui per auto ferirsi e far sembrare poi che ci fosse stata una lite.

Parla l’avvocato di Adrian: ci siamo assunti la responsabilità

«Ci siamo assunti la responsabilità – ha detto l’avvocato Paolo Malasoma, che difende Adrian Luminita – l’unica cosa sulla quale possiamo lavorare è la determinazione della pena». È questa la premessa del legale che assiste l’uomo, reo confesso per l’omicidio della moglie.

Quello che però Malasoma ha chiesto di precisare è il numero delle coltellate: 28, quelle contate dell’investigatore, 27 quelle del medico legale. Ma anche il fatto che il coltello fosse stato nascosto in una matassa di fili.

«Se avesse voluto- precisa l’avvocato – avrebbe potuto far sparire non soltanto l’arma ma anche il cadavere».

 

 

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