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Il dramma dell’Ucraina visto da San Pietroburgo

Matteo D’Angella, fisioterapista della società Zenit è lontano dalla zona del conflitto, ma è stato allertato per il rientro in Italia
Matteo D'Angella
Matteo D’Angella

SAN PIETROBURGO. È volato da Grosseto a San Pietroburgo a novembre, ingaggiato come fisioterapista dallo Zenit, una delle società sportive più ricche della Russia, per la quale segue la squadra di calcio, di pallavolo e di pallacanestro. Ma per Matteo D’Angella, 40 anni, originario di Merano e grossetano d’adozione, ora la vita in Russia sta cambiando. Troppo vicini i venti di guerra e tanti gli amici, i conoscenti, gli atleti che stanno vivendo sulla propria pelle, dalla parte del Paese aggressore, il dramma di un conflitto assurdo e divisivo, 

«Qui in Russia – dice Matteo – la popolazione è contraria, nessuno vuole questa guerra, né la capisce. A San Pietroburgo la gente scende in piazza per manifestare per la pace. Magari questo non si vede sulla stampa estera, ma è così ovunque».

Matteo è di base nella città baltica, ma si sposta continuamente per lavoro. La notte in cui Putin ha attaccato l’Ucraina, per esempio, era appena rientrato in città da Mosca e ha impiegato un’ora e mezza per raggiungere il suo alloggio, mentre di solito impiega 15 minuti, perché in strada c’erano almeno 30.000 persone che protestavano contro l’attacco all’Ucraina

Il dramma di un popolo diviso

«E poi c’è il dramma delle persone che hanno parenti, amici, affetti oltre il confine. I cittadini ucraini sono per la maggior parte di origine russa, parlano russo, le famiglie sono mescolate. Ho visto i nostri atleti piangere di dolore e di paura per i loro cari che sono in Ucraina. Non sanno se e quando li rivedranno. È inaccettabile che in Europa possa accadere una cosa simile», continua D’Angella.

«Ma questo non è scontato. La gente all’estero, non si rende conto che la popolazione russa è vittima di questa guerra quanto gli ucraini. Ieri, un atleta che ha 200.000 follower su Instagram, mentre stava facendo fisioterapia con me ha ricevuto un messaggio in cui gli veniva augurata la morte, solo perché è russo. Si è messo a piangere come un bambino, unendo il dolore per l’offesa a quello per i parenti che vivono in Ucraina».

«I russi sono in popolo meraviglioso – continua Matteo D’Angella – che mi ha subito accolto e fatto sentire a casa. Vogliono la pace, vogliono stare bene, hanno paura della crisi economica e finanziaria che inevitabilmente li investirà. La città si stava preparando per grandi eventi sportivi come la finale finale di Champion League che è stata già spostata, in estate dovevano esserci anche i mondiali di pallavolo. Sciocchezze in confronto a al popolo ucraino che sta perdendo tutto, ma come dicevo qui c’è voglia di normalità. 

Al momento non ci sono rischi per gli europei

Per gli europei del team Zenit al momento non ci sono problemi, anche se la società li ha allertati consigliando loro di contattare le relative ambasciate. «Ho chiamato e lasciato i miei dati – dice Matteo – se la Farnesina ci ordina il rientro, dobbiamo essere pronti a partire, ma qui nessuno di noi lo vuole».

Il direttore della società sportiva, che fa parte del gruppo Gazprom, sponsor dello Zenit ha rassicurato gli europei che per il momento non dovranno muoversi, a meno che la situazione non peggiori e in quel caso dovranno fare ritono nel proprio Pese.

«Io vivo una situazione tranquilla – spiega Matteo – all’interno di un club sportivo tra i più importanti della Russia. Ma ci sono situazioni diverse. Tre settimane fa eravamo a giocare a Belgorod, a 40 minuti dal confine ucraino. Ieri ho parlato con un fisioterapista russo che vive è lì e mi ha raccontato che la notte dell’attacco hanno sentito le bombe e hanno visto arrivare i missili. Hanno avuto paura».

La famiglia lontana

La preoccupazione di Matteo è per la famiglia lontana, la moglie Giulia e i 2 bimbi, Filippo e Mia di 10 e 8 anni. Sente la loro mancanza anche perché non li vede da dicembre, anche a causa del Covid che ha fermato gli spostamenti in Europa.

«Sarebbero dovuti venire qui in aprile, ma non ho preso i biglietti. I voli sono ridotti e per il momento non ci sono le condizioni per programmare più a lungo di qualche settimana. Mi mancano molto. Vediamo che succede, magarsi sarò io tra qualche settimana a essere richiamato in Italia. Speriamo di no, perché vorrebbe dire che la situazione della guerra è andata oltre le peggiori ipotesi».

 

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