GROSSETO. Un altro appello, dal carcere nel quale si trova rinchiuso da maggio. Per chiedere ancora una volta l’intervento delle istituzioni italiane. A lanciarlo è Davide Pecorelli, l’imprenditore, già protagonista della vicenda del naufragio al largo dell’isola di Montecristo, ha scritto una lunga lettera al senatore Walter Verini, chiedendo attenzione sul suo caso giudiziario e sulle condizioni disumane in cui vive nel carcere albanese “Burg 313”.
«Nuk ka viktima nuk ka mashtrim», ovvero «non c’è vittima, non c’è truffa», questa la frase che Pecorelli chiede sia ribattuta da tutti i giornali italiani e albanesi. Nella missiva, l’ex imprenditore parla della malattia contratta in cella, delle cure costose sostenute privatamente e dell’appello a Tirana previsto per il 18 settembre 2025.
Qui l’intero testo della lettera di Davide Pecorelli.
La vicenda del naufragio a Montecristo
Il nome di Davide Pecorelli era già balzato alle cronache nel gennaio 2021, quando il suo gommone venne ritrovato naufragato davanti all’isola di Montecristo.
Fin là era arrivato con un gommone preso a noleggio all’isola del Giglio, sotto falso nome, per trovare il tesoro nascosto sull’isola. Tesoro del quale gli aveva parlato un prete durante i mesi di permanenza in Albania, dove aveva simulato la sua morte. Per quell’episodio, l’imprenditore è stato condannato a più di 4 anni di carcere che sta scontando a Tirana.
L’appello al senatore dal carcere
Oggi Pecorelli scrive da una cella in condizioni drammatiche: «Spazi angusti, infestati da topi e insetti, senza norme igieniche. Ho perso 12 chili in quattro mesi», denuncia nella lettera.
Pecorelli, che si firma come detenuto 34, è rinchiuso in carcere a Tirana da maggio. «Ero in ottime condizioni di salute. Da allora, però, ho condiviso con altre 7 persone spazi angusti, sudici, degradati, con un bagno senza scarico e infestato da topi e insetti di ogni tipo, una cucina (se così la si può chiamare) lercia, le cui condizioni sono lontane dal rispetto di qualsiasi norma igienica. Questo è un luogo nel quale la morale, i più elementari diritti umani e il rispetto della vita non hanno accoglienza! Le posso assicurare che ho potuto sopportare tutto ciò solo grazie allo spirito di sopravvivenza e al mio spiccato senso di adattamento».
Nonostante la sua forza, però, la salute di Pecorelli ne avrebbe risentito pesantemente. «Ho sperimentato un senso crescente di debolezza e perso 12 kg in 4 mesi. Date le condizioni estreme in cui sono costretto a vivere, che le ho solo sommariamente descritto, ho chiesto di poter effettuare le analisi del sangue – scrive nel suo appello a Veriani – Il prelievo si è svolto il giorno 26 agosto 2025 e ne è risultata la positività al virus dell’epatite C. Dalle prime ecografie non è ancora chiaro se il virus abbia già danneggiato il fegato in modo irreversibile».
L’unico modo per curarsi è stato acquistare un farmaco, al costo di 20mila euro. «D’altro canto, non avevo altre opzioni, vista la gravità della situazione e, di certo, non potevo attendere le infinite trafile burocratiche per ottenere le agevolazioni fiscali – aggiunge – Gentile senatore, pur non credendo nella giustizia umana, e pervaso dal timore che la malattia si aggravi minando la mia salute in modo da non lasciarmi alcuna speranza, le chiedo di ascoltare un’ultima mia volontà: far luce con tutti i mezzi a sua disposizione sulla vicenda giudiziaria che mi vede protagonista e, in particolare, sull’udienza finale che si terrà il 18 settembre presso la corte d’appello di Tirana».
L’appello finale è diretto al senatore Verini, ma anche alla diplomazia italiana: «Non mi chiamo Ilaria Salis, né Cecilia Sala, ma la vita di ogni essere umano possiede lo stesso valore».
Il 18 settembre l’udienza decisiva
Il 18 settembre 2025 a Tirana è fissata l’udienza di appello. Sarà il momento in cui il tribunale albanese dovrà decidere sul futuro di Pecorelli, che continua a dichiararsi innocente: «Non c’è stata nessuna truffa e i danni sono stati risarciti».
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