Alluvione del 1966. Colpa (anche) di Ricasoli | MaremmaOggi Skip to content

Alluvione del 1966. Colpa (anche) di Ricasoli

Ecco perché, 55 anni dopo, il rischio è ancora reale. Il problema strutturale a valle non ha soluzione, serve un intervento a monte
L'alluvione del 1966 a Grosseto
Una foto storica dell’alluvione del 4 novembre 1966

GROSSETO. 55 anni fa l’alluvione di Grosseto. Fu causata da una serie di circostanze eccezionali, ma il rischio s’è corso anche più di recente, nel 2012, quando Albinia fu sommersa dalle acque dell’Albegna e nel 2019, quando scattò anche un’ordinanza di evacuazione, con inevitabile coda di polemiche.

Quel 4 novembre del 1966, poco prima delle 8 del mattino, l’Ombrone ruppe gli argini, in quattro punti: nella zona del Motel Agip e in via dei Barberi, dove le case sono a ridosso del fiume.

Il vento di scirocco frenava il deflusso al mare e la pressione nella zona del ponte Mussolini fu talmente forte che l’argine non resse. A fronte di una portata media di 25 metri cubi al secondo, quel giorno si arrivo a 4000 metri cubi al secondo. In alcuni punti in città l’acqua raggiunse i quattro metri, sulle Mura e sulla facciata del Consorzio di bonifica ci sono le targhe che ricordano dove l’acqua arrivò.

La targa sulle Mura, in piazza De Maria
La targa sulle Mura, in piazza De Maria

Un problema strutturale a valle, dovuto a… Ricasoli

Non molti lo sanno, ma la conformazione dell’argine, oltre un secolo fa, fu disegnata in base ad alcuni diktat della famiglia Ricasoli. Che, nella zona del ponte Mussolini, aveva possedimenti, così come in altre zone della città (in via Giacosa c’è la fattoria Ricasoli, ad esempio). La curva quasi a 90 gradi dell’argine fu fatta proprio per evitare che la golena passasse sui terreni dei Ricasoli.

Di fatto prima del ponte Mussolini la golena si allarga fino quasi a 6 km (si vede bene nella cartina, in viola), un fronte d’acqua larghissimo che poi si stringe come un imbuto (meno di 1 km), portando una pressione enorme sugli argini.

La golena dell'Ombrone
La golena dell’Ombrone

I punti più a rischio sono la zona del Pozzino e del Berrettino, dove però ci sono gli argini più alti.

Come detto, dalla Steccaia in poi, a San Martino, la golena è larga sei chilometri e poi si stringe premendo sull’argine. Un problema strutturale non risolvibile perché, nel frattempo, dietro quell’argine è cresciuta la città. Insomma, ci sono i quartieri vista argine.

L'Ombrone con la città cresciuta accanto agli argini
L’Ombrone con la città cresciuta accanto agli argini

Il rischio si può eliminare solo a monte

È chiaro che il rischio può essere eliminato solo a monte e con un’attenta manutenzione del fiume più a valle. Va limitata, con la realizzazione di invasi di cui si è parlato tanto ma fatto niente, la portata dei tre principali affluenti dell’Ombrone che sono il Gretano, il Farma e il Lanzo.

Per il Gretano al momento siamo allo studio di fattibilità. Il bando di gara del Consorzio 6 Toscana Sud è sulla Gazzetta Ufficiale “Realizzazione di invaso multifunzionale sul torrente Gretano alla confluenza con il fosso Seguentina in loc. Poggio Martino nei comuni di Roccastrada e Civitella Paganico”. Lo stesso per il Lanzo: “Realizzazione di invaso multifunzionale sul torrente Lanzo in località Santa Maria nel comune di Civitella Paganico”.

E poi serve la manutenzione, continua, del fiume e del suo letto. Prima di tutto le piante. Non vanno estirpate, creando un’autostrada all’acqua. Vanno tagliate in fondo al tronco, lasciando le radici a tenere il terreno: una pianta di trent’anni estirpata porta con sé 100mq di terreno. Dalle radici invece rinascono rametti che si piegano  come freni naturali. Gli argini vanno controllati, soprattutto se ci sono animali come le nutrie che fanno le tane, delle vere e proprie caverne scavate che fanno passare l’acqua. 

Infine, andrebbero dragate le isolette di sabbia e sassi che si formano e che si vedono bene quando l’Ombrone non è in piena. Sono detriti che non arrivano mai in mare e che alzano il letto. Ma sono lavori che costano milioni di euro.

In sostanza, il rischio, al momento, è ancora reale.

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