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«Vi racconto l’inferno della guerra in Ucraina»

Viktoriya vive a Follonica da 20 anni: i suoi genitori sono sotto le bombe. Il dramma delle parole e delle immagini della guerra
Un’ immagine della guerra in Ucraina

FOLLONICA. Macerie. Si accumulano foto di rovine, rottami di auto e rifugi improvvisati nei cellulari degli ucraini, che rimbalzano subito su quelli dei loro connazionali all’estero. Viktoriya, che vive a Follonica, assiste con un forte senso di impotenza, a questo profondo dolore che sta vivendo il suo paese.

Sembra sempre più lontano quel luglio 2021 in cui una foto con la sua famiglia, in Ucraina, li ritraeva sorridenti nel mezzo di un campo di colza. Così, sotto il cielo del suo Paese, un po’ come se fossero al centro della loro bandiera nazionale.

Viktoriya e la sua famiglia

Viktoriya vive da 20 anni in Maremma, si è creata qua una famiglia assieme a suo marito, suo connazionale. Hanno una figlia e lei attualmente presta supporto alle attività sportive preso il palazzetto di hockey a Follonica, quando può si dedica a delle piccole attività di artigianato, assemblando quello che il mare lascia sul bagnasciuga, creando delle piccole opere d’arte.

Viktoriya, mostrando una immagine dal cellulare di quanto sia esteso il conflitto, racconta quale sia la situazione in Ucraina, soprattutto nella zona dove ha i familiari: «Io ho i genitori a Poltava, una città che è a poche ore di distanza da Kiev, è nel mezzo del conflitto, sono circondati. Lì ho anche altri parenti e molti amici».

L’immagine esplicativa mostrata da Viktoriya

«La zona di Poltava e altre più a est – prosegue – sono tagliate fuori dall’arrivo di molti rifornimenti, acqua e cibo, i corridoi umanitari non sono stati rispettati, se funzioneranno, forse gli abitanti rimasti lì, avranno qualche speranza in più».

«Questa situazione che stanno affrontando i miei connazionali e la mia famiglia – racconta Viktoriya – mi spinge a fare qualcosa, a non tacere. Capisco che per alcuni dare una mano sia difficile, ma possiamo tutti fare qualcosa. Sono stata in comune a Follonica qualche giorno fa, e parlando con l’Assessore Alessandro Ricciuti abbiamo ricevuto il suo sostegno. In città tutti quelli che mi conoscono si sono dimostrati vicini, hanno contribuito in qualsiasi modo potessero, è stato davvero bello, fa onore all’Italia, mi sento di ringraziare davvero tutte queste persone che mi sono vicine»

Da Kharkiv, immagini strazianti

Viktoriya racconta come vivono nelle zone di guerra: «Da una delle grandi città vicine, Kharkiv, più a est, che è stata mirino di bombardamenti, ho ricevuto delle immagini che mi hanno ferita. Tutto il mondo deve sapere, a volte in tv e nei giornali non sembra che succedano cose così gravi come le notizie che mi arrivano».

A questo link, un breve video confronto che lascia poco all’immaginazione su quanto la città sia stata colpita.

«Non ce la aspettavamo questa guerra – racconta Viktoriya – ci siamo svegliati con le notizie del bombardamento, sembrava un film, non volevamo crederci, ci sembrava troppo impossibile. Il problema era che è tutto vero. Quando però sono arrivate le prime notizie dei bombardamenti su asili, ospedali o scuole, la realtà ha iniziato a farci davvero paura»

Sala rianimazione per neonati di un ospedale ucraino

«Nei supermercati molti scaffali sono vuoti – prosegue – e ognuno si organizza come può per sopravvivere correndo nelle cantine o nei rifugi. Purtroppo, lì, nei rifugi, non c’è posto per tutti. Vivevamo in pace, chi si immaginava che servissero rifugi per migliaia di persone. Un po’ ce ne sono, ma non bastano e molti non è che lo hanno sotto casa, per alcuni è difficile anche raggiungerli in tempo».

Una schermata della chat dei connazionali dove vengono mostrati supermercati sguarniti

Viktoriya ricorda che tutti sono ricorsi a qualsiasi mezzo per difendersi: «Nella mia città, molti si sono arruolati come volontari, ma manca molto materiale tattico, dai giubbotti antiproiettile alle cinture, e altro materiale militare. Molti non hanno altro se non le loro mani nude per combattere, e cercano di fare come possono. Tutti, anche i bambini, sono molto indaffarati a fabbricare le molotov, o cavalli di frisia, o qualsiasi altro marchingegno e soluzione che possa rallentare e inceppare le macchine e l’avanzata dei russi»

Molotov caricate in auto

«Dalla casa dove abitano i miei – racconta – il rifugio dista circa 500 metri, e mio babbo è un po’ anziano, non si muove agilmente. Quando hanno iniziato a suonare le sirene, alla terza volta, si è messo sulla porta e ha detto: “ora li aspetto qui i carri armati russi, poi quando passano li voglio guardare negli occhi e gli chiederò, perché fanno tutto questo, che cosa ho fatto di male“.

Uno scantinato divenuto un rifugio improvvisato

Se saranno attivati i corridoi umanitari, per chi vorrà fuggire da città come Poltava (dove abitano i suoi genitori) sarà possibile raggiungere destinazioni ad ovest, ritenute più sicure, se non raggiungere paesi europei. Questa possibilità conforta solo in parte Viktoriya, che commossa racconta: «Se ci saranno i corridoi umanitari, mio babbo mi ha già detto “Non salirò sul pullman, darò il mio posto alla signora del secondo piano con i bambini”. Lo stesso farà mia mamma, intendono cedere i loro posti per salvare altre persone».

 

La paura per la sua città

Poltava, per l’Ucraina e per la vicina Russia è un simbolo. Nel 1709 lì Carlo XII di Svezia fu sconfitto dalle truppe di Pietro il Grande, che mandarono in rotta l’esercito svedese, segnando l’inizio della svolta per la Russia nel panorama in quella che molti storiografi chiamano la Grande guerra del Nord (tra 1700 e 1721). «La gloria alla quale fu elevata Poltava la portò ad essere una piccola San Pietroburgo – racconta Viktoriya – ed è anche la protagonista di una poesia di Alexander Pushkin. Adesso è ancora in buono stato, ma tempo per la mia famiglia, per i miei parenti, e per la mia bellissima città».

A questo link un video di cosa si può vedere girando per una città dell’area colpita da bombardamenti.

I ricordi del Donbass

Viktoriya ha parenti anche in Donbass, dove da 8 anni già si combatteva: «Capivamo poco di quello che succedeva e delle questioni che correvano in quella regione. Lì 2 anni fa ho perso un mio cugino, un ragazzo di 27 anni. Laureato, contento di fare il suo lavoro, era inviato di guerra per la stampa, è stato ucciso da una esplosione, con lui anche un giovane militare fresco di leva. Ultimamente non riesco a contattare molto bene i miei parenti in Donbass, la linea cade spesso. Sarà un caso, proprio quando nominiamo Putin o qualche vicenda relativa alla guerra».

«Quando c’era solo il covid, sapevamo che ci potevamo ammalare – conclude – ma anche che se ne poteva uscire. Adesso da questa guerra non sappiamo né come ci siamo entrati, né come e quando ne usciremo, siamo senza parole. Quasi senza speranza. Ma mi auguro sempre che una soluzione ci sia ed arrivi presto, per la pace. Io dico sempre, speriamo e preghiamo».

 

 

 

 

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