Sparatoria di Follonica, De Simone: «Ora stiano in galera» | MaremmaOggi Skip to content

Sparatoria di Follonica, De Simone: «Ora stiano in galera»

Massimiliano è rimasto invalido dopo l’omicidio del fratello: il dolore e la rabbia per aver perso tutto
Massimiliano De Simone nel letto delle Scotte dov’è ora ricoverato

FOLLONICA. Ha aspettato la sentenza della Cassazione nel letto delle Scotte dov’è ricoverato da venerdì 1 aprile.

«Spesso e volentieri svengo e casco, mi hanno dovuto portare un’altra volta all’ospedale. Da quando mi sono svegliato dal coma, la mia vita è questa». 

A parlare è Massimiliano De Simone, il fratello di Salvatore, l’uomo rimasto ucciso nella sparatoria di via Matteotti a Follonica, avvenuta il 13 aprile 2018.

Sono passati quasi quattro anni, dal giorno in cui la sua vita è cambiata completamente, come quella della farmacista Paola Martinozzi, colpita anche lei da un proiettile sparato da Raffaele Papa. Il trentenne e suo padre Antonio sono stati condannati rispettivamente all’ergastolo e a vent’anni. E mercoledì 6 aprile la condanna è diventata definitiva

Vite distrutte da tre colpi di pistola

Le vite di Salvatore e Massimiliano De Simone e quella di Paola Martinozzi sono state distrutte da quei tre colpi di pistola sparati perché dal balcone dell’hotel di proprietà della famiglia De Simone cadeva acqua sulla tenda della rosticceria Da Buono, di proprietà della famiglia Papa. 

Raffaele Papa
Raffaele Papa

«Io non avevo mai discusso prima con i Papa – dice Massimiliano – Non c’era mai stata una lite tra di noi. Quel giorno io e mio fratello siamo usciti fuori perché c’era una discussione con mia madre. Però non riesco a ricordare nulla di quel maledetto giorno. Sono rimasto un mese in coma, ho saputo dopo cosa fosse successo».

Un mese passato come un soffio. «Quando mi sono svegliato ho scoperto di essere rimasto in coma un mese – dice – A me era sembrato di aver dormito un giorno. Poi ho scoperto di aver perso l’uso delle gambe, di essere rimasto tetraplegico. Ma il peggio è avvenuto quando mia moglie mi ha detto che Salvatore era morto. Le avevo appena detto di averlo visto accanto al mio letto, avevo avuto la sensazione che lo cercassero perché aveva fatto qualcosa di male: e invece lei mi ha detto che era morto durante la sparatoria».

Sono traumi, quelli subiti da Massimiliano, che non si riparano più, nemmeno ora che è arrivata la conferma della sentenza della corte di Cassazione. «Gli avvocati Franco Ciullini e Alessandro Risaliti sono stati davvero bravi – dice – perché sono riusciti ad ottenere il massimo. Io però vorrei vedere padre e figlio restare in carcere fino alla fine della pena. Il figlio deve restare in carcere tutta la vita, il suo posto è quello. Ma anche il padre deve scontare la sua condanna fino in fondo. Non posso pensare che escano prima del tempo, non sarebbe giusto per nessuno».

La rabbia e il dolore

C’è tanta sofferenza nelle parole di Massimiliano De Simone. E c’è anche rabbia, soprattutto per quello che ha perso. Per la vita che faceva prima e che poi non è più stata la stessa.

«Avevo due locali – racconta – guadagnavo 100.000 euro all’anno e potevo dare ai miei figli una vita dignitosa. Ora vivo della pensione d’invalidità e ho perso tutto quello che avevo. Ma più che l’aspetto economico, mi fa male non poter avere un rapporto con i miei figli come avevo avuto fino a quel maledetto giorno».

La figlia maggiore di Massimiliano ha 11 anni, il bambino più piccolo ne ha sei. «Con lui  non ho mai potuto giocare a pallone – dice – non ho mai potuto fare quello che i padri fanno con i figli maschi. Mi vede da sempre seduto sulla sedia a rotelle e mi vede stare male. Io cerco di blindarmi rispetto a questo dolore e provo ad andare avanti ma è tanto difficile. L’unica cosa che mi potrebbe dare un briciolo di consolazione è sapere che quei due restino in carcere. Che il figlio ci resti fino alla fine dei suoi giorni, che il padre sconti la condanna per intero».  

 

La salma di Salvatore De Simone
La salma di Salvatore De Simone

Antonio Papa era stato già condannato per porto abusivo d’armi nel 1991 quando era vicesindaco di Grazzanise. Il Ministero dell’Interno lo aveva sollevato da quell’incarico, sostenendo che la condotta dell’uomo era «caratterizzata da rapporti di connessione con “clans” camorristici». 

«Ecco, il problema è stato anche questo – specifica De Simone – a Follonica hanno fatto entrare troppe persone che non dovevano starci. In Italia bisognerebbe fare come in Australia, dove se hai dei precedenti non entri. Loro ce li avevano, non dovevano essere qui».  

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