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Ridotto in schiavitù: «Mi vergogno di quello che ho fatto»

Interrogato dal giudice, il figlio del settantenne vessato e maltrattato ha risposto alle domande: «Periodo di forte stress, sono pentito». La moglie è rimasta in silenzio
Il tribunale di Grosseto

GROSSETO. È durato pochi minuti, l’interrogatorio di garanzia di fronte al giudice Marco Mezzaluna, della donna e del ragazzo, madre e figlio, accusati di aver ridotto in schiavitù un settantenne, marito della donna e padre del ventunenne. 

Difesa dall’avvocato Tommaso Galletti, la 64enne ha scelto di non rispondere alle domande del giudice, mentre il ragazzo, assistito dall’avvocato Adriano Galli, ha scelto di parlare. 

In lacrime di fronte al giudice

Il ventunenne ha spiegato di «essersi adagiato ai comportamenti della madre», comportamenti vessatori fin da quando il ragazzo era più piccolo. La donna infatti, era già stata condannata per lo stesso reato, quello di maltrattamenti, nel 2019 quando il ragazzo aveva appena 12 anni.

«Mi ricordo poco di quella vicenda», ha detto il ragazzo al giudice, spiegando che i rapporti nella loro famiglia si erano fatti più tesi a causa dello stress per il trasferimento che avrebbero dovuto affrontare

Stress che sarebbe stato causato anche dai problemi economici che la famiglia doveva affrontare. 

Il giovane si è mostrato pentito: «Mi vergogno di averlo fatto, sono pentito di quanto accaduto», ha detto tra le lacrime. 

Il giudice, su richiesta del sostituto procuratore Giampaolo Melchionna, aveva disposto l’allontanamento dei due dalla casa nella quale si erano trasferiti insieme al settantenne che ora vive solo. 

Un capitolo nero nella vita del ragazzo, quello che si legge nel fascicolo della Procura, che ha coordinato le indagini dei carabinieri.

 

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