Non esiste una sola parola che possa minimamente raffigurare il dolore, la sofferenza, l’incredulità di chi ha vissuto l’assurdità, e il fine, delle leggi razziali.
Possiamo solo avvicinarci, sfiorarla con una lacrima, avvertire sgomento nel cuore, sentirci inadeguati per non comprendere fino il fondo cosa sia accaduto. E perché.
Noi del dopo guerra non abbiamo attraversato l’orrore, non abbiamo annusato il fumo della carne bruciata, che usciva dai forni, non abbiamo assistito alla partenza dei treni pieni di escrementi, umanità e disperazione, non abbiamo sentito le urla perenni dilagare nei campi di sterminio.
Lo abbiamo letto nei libri di storia, visto nelle foto in bianco e nero, sentito raccontare. Ma non riusciamo a toccarne l’anima raccapricciante che lo ha pianificato scientificamente. Magari sorridendo.
Ci terrorizzano le parole di Primo Levi: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo». Si, questa frase è agghiacciante, mette i brividi. Ma serve affinché l’orrore non ritorni con i suoi simboli, le sue bandiere, le sue divise, i suoi artigli insanguinati, la sua follia disumana.
Il ricordo è un dovere essenziale, vitale, per garantire che i forni restino spenti per sempre.

nasce dall’idea di Guido Fiorini e Francesca Gori
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