GROSSETO. Aveva in mano una maglietta con la foto del marito Nicolas Del Rio e la scritta «Giustizia per Nico»: così è scesa dal banco dei testimoni Carolina Alejandra Allegri. Si è fermata davanti alla gabbia degli imputati, ha mostrato loro la t-shirt e poi, con compostezza, si è seduta accanto alla sua avvocata, Valentina Chech.
La donna ha raccontato, con il volto rigato dalle lacrime, cosa è successo il giorno della scomparsa del corriere argentino, il 22 maggio.
Nella mattinata del 26 novembre si è tenuta una nuova udienza del processo ai tre accusati dell’omicidio di Del Rio: il 29enne turco Emre Kaja, difeso dall’avvocato Romano Lombardi; il 34enne albanese Klodjan Gjoni, difeso dagli avvocati Riccardo Lottini e Alessio Bianchini; il 44enne turco Ozgur Bozgurt, difeso dagli avvocati Massimiliano Arcioni e Claudio Cardoso.
Ha parlato anche Gjoni. Ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee, in attesa dell’esame fissato per la prossima udienza. «Da un anno e mezzo sono in carcere e non passa giorno in cui non pensi a quello che è successo. Nicolas è stato ucciso la mattina del 24 maggio, Kaja non era presente: glielo abbiamo comunicato dopo – ha detto in aula – Dirò tutto quello che è successo al mio controesame».
Carolina: «Giustizia per Nicolas»
I giudici popolari, la giudice Agnieska Karpinska e il presidente della Corte d’assise Sergio Compagnucci, insieme ai sostituti procuratori Giovanni De Marco e Valeria Lazzarini, hanno ascoltato la testimonianza di Carolina Alejandra, più volte interrotta dalle lacrime. Le ultime parole che Nicolas le aveva rivolto sono state: «Ti chiamo appena ritorno verso casa».
«Adriana Cortéz mi ha detto che Nicolas era scomparso e sono andata subito sul suo posto di lavoro – ha raccontato – Lo abbiamo aspettato a casa, ma non è più tornato. Il giorno successivo io e il padre di Nicolas siamo andati a sporgere denuncia e a cercarlo. Da allora le nostre vite sono state rovinate: a mio figlio manca il padre ogni giorno. Abbiamo iniziato ad andare dallo psicologo per affrontare tutto questo».
Dopo il 22 maggio la donna ha dovuto lasciare il lavoro per occuparsi del figlio. La comunità di Abbadia San Salvatore, per sostenerla economicamente, ha aperto una raccolta fondi.
Durante la testimonianza Carolina ha continuato a guardare i tre imputati, rimasti impassibili. Anche quando si è fermata a pochi centimetri dalle sbarre, davanti al volto di Gjoni, ha sollevato la maglietta e ha detto: «Giustizia per Nicolas».

Sotto la lente la famiglia di Bozgurt
In aula ha testimoniato anche la moglie di Bozgurt.
«Mi ricordo bene il 22 maggio, perché mio marito è tornato a casa fra le 2 e le 3 del mattino e puzzava di fumo e benzina. Quel giorno non ha portato nostra figlia al parco, come faceva di solito – ha detto la donna – Abbiamo discusso, ma non mi ha dato spiegazioni. Non ho collegato questo alla scomparsa di Nicolas: non avrei mai pensato che potesse fare una cosa del genere».
«Il 24 maggio ha accompagnato nostra figlia a scuola e ha detto che non sarebbe andato al lavoro perché aveva da fare – ha aggiunto – E quel giorno non è andato a prenderla, come faceva sempre. Nessuno è mai venuto a farci domande su quel giorno».
Nei giorni successivi la 30enne ha chiesto più volte al marito perché fosse tornato così tardi il 22, ma lui non le ha mai dato spiegazioni.
La parole di Gjoni
Gjoni ha chiesto di parlare in aula e, dopo il consenso della Corte d’assise, con le spalle basse si è seduto al banco dei testimoni.
«Vorrei tornare indietro nel tempo, ma non posso. Al controesame dirò tutto quello che è successo – ha detto in aula – Vorrei chiarire due cose: Nicolas è morto la mattina del 24 maggio, non il 23, ed eravamo presenti io e Bozgurt. Emre Kaja ha saputo della sua morte dopo, non era con noi quel giorno».
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