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Strage Erasmus: «È morto l’autista»

Il dolore del babbo di Elena Maestrini: «Abbiamo aspettato fino ad oggi e non avremo giustizia: finisce così la nostra storia giudiziaria»
Elena Maestrini

GAVORRANO. Sono passati sette anni e nessuna sentenza è stata emessa. Sono passati sette anni da quando i sorrisi di Elena Maestrini, 21 anni di Gavorrano, di Lucrezia Borghi e Francesca Bonello di Greve in Chianti (Firenze), Valentina Gallo di Firenze, Elisa Valent di Venzone (Udine), Elisa Scarascia Mugnozza di Viterbo e Serena Saracino di Torino si sono spenti insieme a quelli delle loro compagne di università, due ragazze tedesche, una rumena, una francese, un’austriaca e una uzbeka.

Erano sull’autobus, viaggiavano da Barcellona  a Valencia per partecipare alla Fiesta de las Fallas quando a Freginals, l’autobus sbandò e si capovolse. Sono passati sette anni e nessuna sentenza è stata emessa.

Oggi, giovedì 6 aprile, la speranza dei genitori delle ragazze di veder condannato l’uomo che era al volante dell’autobus, è svanita per sempre. Santiago Rodriguez Jimenez è morto, ucciso da un infarto

La battaglia del babbo di Elena

A darne l’annuncio, su Facebook, è Gabriele Maestrini, il babbo di Elena, che dal 20 marzo 2016, giorno in cui avvenne il terribile incidente in Catalogna, non ha mai smesso di rincorrere la giustizia. Un percorso in salita, quello dei genitori delle ragazze, fatto di ostacoli e intralci che hanno reso il cammino tortuoso. Un cammino che ora, con la morte dell’uomo, si deve per forza arrestare. 

Gabriele Maestrini durante una protesta per chiedere giustizia

La notizia è arrivata a Gavorrano come un fulmine a ciel sereno. «Finisce quindi la nostra storia giudiziaria – scrive il babbo di Elena sul suo profilo di Facebook – Non sarà emesso nessun verdetto perché la responsabilità penale è personale. Nell’autunno del 2022 avevamo preso tutti insieme una decisione sofferta e difficile, acconsentendo ad un patteggiamento con l’emissione di una sentenza di condanna dell’autista; il quale, in cambio di uno sconto di pena, avrebbe ammesso finalmente la sua responsabilità».

Una responsabilità che ora non potrà più essere riconosciuta, almeno in un tribunale. Che non resterà scritta su nessun atto tranne che nel cuore dei genitori delle sette ragazze e in quello dei loro amici, che le piangono ancora oggi. 

Un patteggiamento sofferto

I genitori delle sette ragazze, attraverso i loro legali, erano arrivati dopo mesi e mesi di contatti e mediazione, a scegliere la strada del patteggiamento: una strada che a qualcuno aveva fatto storcere la bocca ma che alla fine aveva incassato l’adesione di tutte le parti civili e dello stesso autista. 
 
«Ci era stato comunicato che uno sciopero di due mesi dei segretari giudiziari aveva impedito la fissazione dell’udienza di patteggiamento – scrive ancora Gabriele –  ma che la data era vicina ed il pm aveva già depositato la relazione per il Tribunale con i termini dell’accordo di patteggiamento. Non era stato facile per noi decidere: qualcuno esitava, qualcuno era contrario. Ma dal 20 marzo 2016 siamo diventati un po’ come una grande famiglia e alla fine la scelta è stata presa e comunicata in Spagna».
Il terribile incidente a Freginals
La questione sollevata dai familiari delle sette ragazze è sempre stata una questione di dignità alla quale non volevano e non potevano certo rinunciare. «Questa vicenda ci ha portato via troppo, ma la dignità ci è rimasta – aggiunge Maestrini –  ci siamo rifiutati di subire per anni un processo che non ne voleva sapere di partire. Abbiamo perso fiducia in un paese dove l’esercizio della giustizia dipende dalla capienza e dal numero delle aule o dalle rivendicazioni sindacali pur legittime di un segretario. Uno stato in cui il risarcimento delle vittime di sinistri stradali vale meno di quello di altri sinistri, per non pesare sulle compagnie assicurative. Quindi, meglio uscirne prima possibile, per non subire più. Nemmeno questo è stato possibile. Ci resta solo la notizia che l’autista avrebbe patteggiato: è la nostra unica non sentenza».
 

L’accusa: «I veri colpevoli a piede libero»

Il dolore per la perdita di una figlia che stava cercando di costruire il proprio futuro studiando all’estero, non passerà mai. Come non passerà nemmeno quello di sapere che i veri colpevoli della strage dell’Erasmus, comunque, non sarebbero stati processati.

Le vittime della strage dell’Erasmus

«Nessun segretario in sciopero gli avrebbe notificato un mandato di comparizione – scrive il babbo di Elena –  La società di trasporti che aveva consentito ad una persona non più giovane e con problemi di salute di fare un viaggio troppo lungo senza un sostituto; l’associazione studentesca (ospitata e sponsorizzata da un ateneo che poi si è dissociato) rea di aver organizzato una gita nella quale degli autisti dovevano viaggiare e stare svegli per più di 24 ore consecutive; il rappresentante dell’associazione stessa che la mattina aveva ripreso l’autista vedendolo incline a colpi di sonno, ma che dopo la mezzanotte aveva fatto salire su quel pullman 50 persone, senza chiedere una sostituzione alla guida. Le autostrade spagnole, i cui guard rail erano e sono tanto tanto vecchi. Fossero stati anche tutti puniti, le nostre figlie non ci sarebbero comunque più».

L’appello ai responsabili

Sono sette anni che Maestrini e gli altri genitori si battono per ottenere giustizia. E sono anche sette anni che insieme cercano di far cambiare le cose.
Anche oggi, giorno in cui la speranza di avere una sentenza, seppure un patteggiamento, è finita, Maestrini lancia di nuovo un appello a chi ha responsabilità e può fare in modo di cambiare le cose, «esercitando maggiori controlli su chi spende il loro nome – dice – disciplinando una volta per tutte il trasporto di persone senza avere paura di toccare interessi economici; stabilendo regole uniformi di risarcimento del danno che valorizzino la vita e inducano a condotte prudenti. Solo così l’Europa di cui le nostre figlie si sentivano cittadine, potrà essere un posto sicuro e giusto. Per parlare di questo e costruire, ci saremo sempre. Per rivangare e rivendicare no. La corsa è finita. Questo lo dobbiamo a Elena, Elisa ed Elisa, Francesca, Lucrezia, Serena e Valentina».

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