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Cava di Montioni: dubbi sul materiale stoccato

Alcuni elementi riscontrati non sarebbero riconducibili alla presenza dei gessi rossi
la collina di gessi rossi a Montioni
La collina di gessi rossi a Montioni, foto di Marco Stefanini

SCARLINO. È un vero terremoto quello scatenato dalla diffida della Regione del 25 maggio, che di fatto ferma il conferimento dei gessi rossi nella ex cava di Montioni, nel comune di Follonica. O forse l’ultima scossa – in ordine di tempo – seguita al comunicato dell’assessora regionale all’ambiente, Monia Monni, che il 21 maggio informava di aver ricevuto dai carabinieri del Noe una relazione forense con elementi “non conformi” a quella dell’Arpat del 2021, chiedendo agli uffici di attivarsi per «intervenire sull’autorizzazione al conferimento dei gessi rossi a Montioni».

E gli uffici sono intervenuti, con il decreto 10151 del 25 maggio, firmato dal dirigente del settore Ambiente ed Energia della Regione, Sandro Garro, che apre più di una riflessione e pone più di un interrogativo sulla qualità dello scarto della lavorazione del biossido di titanio prodotto negli stabilimenti della Venator a Scarlino. Nonché sul percorso autorizzativo che da 15 anni consente di portare i gessi a Montioni.

A partire dall’autorizzazione, oggi oggetto di discussione, del 2017 (la numero 2835). Basata peraltro sull‘analisi del rischio del 2016, coordinata dall’ingegner Piero Ulivieri, che viene superata dalla relazione tecnica forense (l’accertamento tecnico irripetibile, i cui risultati sono già pienamente efficaci) redatta nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze.

L’analisi del 2016, infatti, escludeva la possibilità che dai gessi potessero separarsi composti chimici «per lisciviazione, grazie alla loro impermeabilizzazione». Situazione che, a distanza di 6 anni, non ha trovato riscontro.

Il materiale portato a Montioni è solo gesso rosso?

E se, dopo il provvedimento dell’assessora Monni la diffida era attesa, è un altro il dubbio che il documento pone, peraltro già emerso dalla relazione della Commissione parlamentare sulle ecomafie.

Se, cioè, a Montioni siano stati rilevati inquinanti non riconducibili ai gessi rossi, come si legge a pagina 178 della relazione: ovvero «un “rifiuto violaceo”, così definito, che attirò l’attenzione degli inquirenti, per il colore viola acceso» e che portò alla «formulazione di un reato più complesso». 

Ipotesi non scartata dalla Regione, che nella diffida scrive: «altri parametri, a parte forse il cobalto, pur con valori superiori alle Csc (concentrazione di soglia di contaminazione, ndr), non sembrano correlabili con la composizione del gesso rosso».

Ma quali sono le incongruenze su cui si basa il provvedimento di diffida?

Il provvedimento di diffida si basa su una serie di elementi emersi dalla relazione tecnica forense che i carabinieri del Noe hanno consegnato all’assessora Monni. Tra cui l’instabilità dei gessi rossi, la canalizzazione delle acque che dalla cava si riversano verso le aree esterne, il non rispetto dei parametri dei solfati in riferimento alle emissioni idriche, la non impermeabilizzazione delle vasche del sistema di depurazione.

Inoltre non ci sono canali di scolo dalle aree di abbancamento dei gessi e, in alcuni punti lontani dalla cava, sono stati riscontrati titanio, cromo, vanadio, ferro, manganese, mentre i carotaggi, oltre alla presenza di questi elementi noti, hanno rilevato anche cobalto e cromo esavalente

Per questo temibile elemento, di cui viene riscontrato il superamento del limite in un’aliquota superficiale della falda acquifera, non sono previste deroghe.

Stop al conferimento dei gessi fino a quando non saranno eseguite le prescrizioni della Regione

In base, dunque, alle criticità riscontrate e al superamento delle soglie di contaminazione nell’area esterna alla cava, la Regione ha disposto che la Sepin srl, la ditta titolare dell’autorizzazione per Montioni, interrompa il conferimento dei gessi fino a quando non avrà eseguito le prescrizioni indicate:

predisporre un piano di caratterizzazione delle falde sotterranee interessate, «verificare l’estensione dell’area in cui sono stati riscontrati valori superiori di cromo esavalente, presentare un piano di rimozione delle parti contaminate, interrompere le possibili vie di uscita per materiali solidi o acque meteoriche non regimate, verificare il ripristino del rispetto dei limiti di scarico delle acque meteorologiche,  provvedere alla verifica delle cause delle infiltrazione nei gessi rossi, prevedendo anche verifiche geotecniche sul loro grado di compattazione. Infine provvedere all’impermeabilizzazione delle vasche di trattamento delle acque meteorologiche».

 

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