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Un successore per il direttore – filosofo Boldrini

Intervista a Fabrizio Boldrini che dopo 22 anni lascia il timone di quella che oggi è la più grande Società della salute della Toscana
Fabrizio Boldrini

GROSSETO. Si avvicina il cambio della guardia alla guida della società della salute, e zona-distretto, più grande dell’intera Asl sudest. Il direttore, Fabrizio Boldrini, 67 anni compiuti in agosto, è di fatto in pensione, avendo cessato il proprio rapporto con il sistema pubblico. Nei mesi successivi è rimasto al timone del Coeso-Sds, in quanto titolare di un contratto di natura privata, in attesa che Comuni e Asl individuino il suo successore.

Sono stati, infatti, gli stessi sindaci delle 20 amministrazioni che fanno parte della Sds insieme alla Asl a chiedergli di restare per accompagnare il passaggio, soprattutto in una fase tanto delicata come questa, in piena pandemia. Ma ormai siamo agli sgoccioli. Boldrini resterà in carica fino alla nomina del suo successore, per individuare il quale, all’inizio della settimana è stato pubblicato il bando. Poi, dopo 22 anni, dovrà chiudersi alle spalle la porta degli uffici di via Damiano Chiesa, forse già entro il mese di febbraio.

Il suo è stato un lungo percorso che lo ha visto tra i protagonisti della nascita delle società della salute nel 2010, ma anche della transizione dalla Asl 9 alla Asl Sudest. Un percorso che certamente nemmeno lui, dottore il Lettere moderne, attivo nel movimento studentesco e nel mondo del volontariato, appassionato di storia del movimento operaio e sindacale al quale ha dedicato numerose pubblicazioni, avrebbe immaginato, quando per la prima volta, nel 1984, si è seduto da dipendente dietro alla scrivania di un ufficio del comune di Roccastrada, il paese in cui è nato.

La laurea in Lettere, il lavoro in Comune e il “salto” verso le politiche sociali e la sanità. L’intervista

Dottor Boldrini, si scherza spesso sul fatto che lei sia un “filosofo prestato alla sanità e al sociale” e qualcuno lo ha anche visto come un limite. E invece?

«E invece è una risorsa. Io mi sono diplomato perito elettrotecnico, dato che mio padre, minatore, era un uomo concreto e aveva l’idea che fare il liceo sarebbe stato rischioso, se dopo non avessi avuto la possibilità di fare l’università. Poi mi sono laureato in Lettere moderne con indirizzo storico, all’Università di Pisa e devo dire che l’impianto ideale e morale che mi viene da quegli studi mi è stato utilissimo. Certamente ho dovuto imparare tutti gli elementi che mi mancavano, ho seguito master specifici alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa dove ho discusso quattro tesi a conclusione dei corsi di formazione».

Quale è stato il percorso che l’ha portato dal Comune di Roccastrada alla guida di una delle prime Sds a costituirsi in Toscana?
«Appena assunto, nei primi anni ’80 mi sono occupato della programmazione del teatro e del giornale del Comune, poi ho cominciato a lavorare nell’equipe integrata di area, seguivo gli aspetti educativi e di pubblica istruzione. In quella fase mi rapportavo già con tutti i comuni dell’area grossetana. Questo fino al 1992, quando il legislatore emanò una norma che stabiliva di riportare i servizi sociali ai comuni. A quel punto sono diventato il referente dell’equipe che si occupava dei servizi socio-assistenziali dei comuni».

È in quell’ambito che è maturata l’idea di costituire un consorzio autonomo per la gestione dei servizi socio-assistenziali?
«Esattamente, era il 2000. Nel decennio successivo hanno preso forma le Sds, nate nel 2010 con legge regionale. In quell’anno, la Asl 9 guidata dal dg Fausto Mariotti, entrò con il 34% delle quote nel consorzio mantenendone il nome, Coeso, e l’impianto. Dato che la norma prevedeva che direttore della Sds e della zona distretto coincidessero, ho assunto anche l’altra carica. Nel 2018, infine, con la riforma del sistema sanitario regionale, c’è stata l’unificazione dei tre distretti».

E questa è stata ancora un’altra sfida
«Sì, perché l’attuale distretto che comprende l’Amiata grossetana, l’Area grossetana e le Colline Metallifere è geograficamente i 3/5 di tutta la Asl e mette insieme tre zone molto diverse l’una dall’altra. È stata davvero la sfida più impegnativa».

E invece quella più affascinante?
«La costituzione della società della salute. Un passaggio epocale, perché ha introdotto il concetto che la malattia ha radici nella comunità, le cui cause risiedono per il 70% nei comportamenti individuali e pubblici. Aver compreso che la salute non è semplicemente assenza di malattia, ma un insieme di fattori, è la straordinarietà della rete regionale che ha dato vita alle Sds. Non a caso è previsto che il direttore di zona distretto, che si occupa di sanità, e il direttore della Sds, che si occupa di sociale, siano la stessa persona».

Ha trovato in questi anni diffidenza da parte di chi esercita professioni sanitarie, verso un direttore di zona che invece viene da una formazione non medica?
«Nei primi 6 mesi dopo la nomina da parte dell’allora sindaco di Grosseto Emilio Bonifazi e del dg Mariotti, sì. Dopo, le diffidenze sono state superate, anche perché il direttore di zona non fa il lavoro del medico, ma svolge una funzione strategica per l’organizzazione di servizi. Io non sono mai entrato negli aspetti tecnici, pur cercando di avere sempre il massimo dell’autorevolezza e avvalendomi si una squadra dalla quale ho avuto e continuo ad avere la massima collaborazione».

I servizi sociali non sono il pacco del poverello, ma la tenuta della comunità

Il suo più grande successo?
«Aver convinto i comuni, all’inizio del 2000, che le risorse procapite per il sociale erano irrisorie, in alcuni casi 11 euro. Sono riuscito a portarli a 46 euro. E contemporaneamente abbiamo messo insieme una serie di servizi non solo per la singola persona. I servizi sociali non sono il pacco del poverello, ma la tenuta della comunità».

C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela?
«Uno in particolare quando la Corte Costituzionale dichiarò la sua non competenza sulla legittimità delle Società della salute e alcune parti politiche la lessero come una bocciatura della loro istituzione in Toscana. In generale sono difficili tutti quei momenti in cui, malgrado lo sforzo di tutti, non riusciamo a risolvere situazioni di grave disagio».

Il suo più grande rimpianto?
«Avere 68 anni. Avrei ancora tanta voglia di fare»

Progetti futuri?
«Ho già un paio di impegni: il primo è l’università, con una docenza a contratto e le lezioni per alcuni master. Il secondo è aiutare chi verrà dopo di me, se lo vuole, a entrare nel mondo delle relazioni che ho costruito in questi anni. Soprattutto introdurlo nella gestione dei dossier che ho lasciato aperti. Poi ho intenzione di dedicarmi al sostegno al terzo settore».

Ci sono già nomi che girano e indiscrezioni sul suo successore. Ci dice qualcosa?
«Non ho idea del nome, naturalmente, c’è un bando per questo, ma ho in mente il tipo di persona che dovrebbe essere: competente, flessibile e generosa».

Una riflessione finale?
«La prima è ringraziare tutte le persone con le quali ho lavorato in questi anni, dipendenti, collaboratori, colleghi, che mi hanno aiutato e sostenuto. Senza di loro tante cose non sarebbero andate in porto. E per chiudere mi rivolgo a tutti i dipendenti della Sds: siate orgogliosi del lavoro che fate per gli ultimi, non perdete mai lo slancio. E siate consapevoli di essere parte di un’esperienza molto significativa in tutta Italia e la più significativa in Toscana».

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