Appalto del depuratore, 712mila euro di confisca | MaremmaOggi Skip to content

Appalto del depuratore, 712mila euro di confisca

La Newlisi spa dovrà pagare una multa di 26.667 euro: era la società incaricata della realizzazione dell’impianto di depurazione di San Giovanni
Il depuratore di San Giovanni

GROSSETO. L’ultima tegola sulla Newlisi, la società finita al centro dell’inchiesta “Black water” cominciata dal nucleo di polizia giudiziaria della stradale e della municipale, al quale si è poi affiancata anche la guardia di finanza, è la confisca di 712.816,96 euro, eseguita dalle Fiamme gialle che hanno svolto le indagini su questo troncone, e la pena al pagamento di 26.667 euro disposta dal giudice per l’udienza preliminare Marco Mezzaluna alla spa, che è stata incolpata dell’illecito amministrativo della responsabilità dell’ente in relazione ai reati di corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri d’ufficio. 

Pena che è stata applicata all’esito del patteggiamento al quale la società è stata ammessa. 

Presunti “affari truccati” per milioni di euro

L’inchiesta Black Water era cominciata nel 2018: gli investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Marco Nassi, avevano sequestrato migliaia e migliaia di file e documenti che avrebbero accertato presunti “affari truccati” nell’affidamento degli appalti.
Il blitz era scattato nella sede dell’Acquedotto del Fiora in via Mameli e in via Giordania a Grosseto. Ma gli investigatori erano arrivati anche fuori dalla Toscana: a Milano, dove appunto ha sede la società allora guidata da Antonio Capistro, che si era aggiudicata l’affidamento di lavori pubblici, quali quelli per la realizzazione del digestore di San Giovanni. Affidamento che non si sarebbe svolto secondo quanto previsto: la libera concorrenza e la libertà d’impresa sarebbero venute meno, con un grave danno per la collettività.
Del digestore era stato chiesto il sequestro, come per tutta l’area sulla quale sorge. E durante l’indagine erano stati rilevati anche tutti i valori della lavorazione. Valori che non sarebbero stati perfettamente in linea con quanto dichiarato nel contratto d’appalto. In mezzo a questa vicenda, infatti, se ne era intersecata un’altra: due i filoni d’indagine seguiti dai poliziotti e dai finanzieri, uno che riguardava la presenza di un “cartello” di imprese quasi tutte locali che non permettevano a nessun altro di aggiudicarsi i lavori dell’Acquedotto del Fiora e quello appunto sul mega affidamento per il digestore. 
Nei confronti dei vertici della società che gestisce l’acqua pubblica, le accuse, pesantissime, sono cadute. A settembre dell’anno scorso i sostituti procuratori Salvatore Ferraro e Giovanni De Marco hanno chiesto l’archiviazione. E il giudice Sergio Compagnucci ha accolto la loro richiesta. Le intercettazioni telefoniche, numerosissime, davano conto di una sorta di accordo tra gli amministratori e i dipendenti dell’Acquedotto.
«Si era evidenziato come erano emersi continui contatti fra gli amministratori e i dipendenti di Acquedotto del Fiora con i titolari di ditte private – scrivono Ferraro e De Marco – Contatti aventi oggetto lavori da appaltare e subappaltare. In base all’accordo le imprese decidevano preventivamente chi avrebbe partecipato e vinto l’aggiudicazione del singolo lotto dei lavori, usando poi lo strumento del subappalto per compensare economicamente la ditta non partecipante all’assegnazione dell’appalto».
Comportamenti che hanno portato ad ipotizzare una condotta finalizzata a ottenere un’irregolare aggiudicazione della gara. Ma la corruzione, secondo l’accusa e poi anche il giudice non c’è stata. «Il contenuto delle conversazioni – aggiunge la Procura – chiaro nel delineare un sistema radicato e collaudato per l’aggiudicazione degli appalti, non ha poi trovato riscontri.
I sequestri successivi non hanno consentito di individuare specifiche aggiudicazioni così da consentire di individuare i responsabili. La stessa Finanza non ha individuato, basandosi sulle prove raccolte, le singole gare oggetto di aggiudicazione illecita».

Interdizione per il legale rappresentante

Mentre il filone sull’Acquedotto del Fiora si è concluso con l’archiviazione, quello sulla Newlisi spa è andato avanti, tanto che i due magistrati, lo scorso maggio, avevano chiesto al giudice di applicare all’allora legale rappresentate della società,  la misura del divieto di esercitare uffici direttivi

Le indagini infatti, avevano dimostrato l’avvenuto condizionamento della procedura di evidenza pubblica relativa alla costruzione dell’impianto di depurazione fanghi (idrolisi) in località San Giovanni, affidato dall’Acquedotto del Fiora S.p.A., alla società Newlisi S.p.a., in forza di un accordo corruttivo che si sarebbe instaurato tra l’imprenditore e una dipendente della società con specifici incarichi relativi alla gestione di appalti pubblici. Accordo consistito nella rivelazione di notizie riservate in cambio di favori. 

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Grosseto ha accolto la richiesta della misura interdittiva, per l’imprenditore, indagato per turbativa d’asta e corruzione. Si tratta di una misura specificatamente prevista per scongiurare il pericolo di reiterazione dei reati da parte di persone che ricoprono cariche rappresentative in seno a persone giuridiche consistente, nel caso di specie, nell’interdizione, per la durata di mesi sei, da ogni attività che riguarda gli uffici direttivi.

E sulla scorta di quell’inchiesta, il giudice Mezzaluna ha emesso la sentenza nei confronti della società, difesa dall’avvocato Carlo Baccaredda Boy di Milano. Società che è stata incolpata «per non aver adottato modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli contestati ad Antonio Capristo appunto. 

 

Autore

  • Francesca Gori

    Redattrice di MaremmaOggi. Da bambina avevo un sogno, quello di soddisfare la mia curiosità. E l'ho realizzato facendo questo lavoro, quello della cronista, sulle pagine di MaremmaOggi Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma

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