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Venator: Rifondazione comunista contro tutti

La sezione Follonichese, in difesa dei lavoratori, attacca Regione, azienda e a chi a vario titolo ha “contribuito” alla crisi occupazionale
Aggravato, secondo gli esponenti del partito, da una "distorsione dei fatti" operata a sommo studio dalla Commissione parlamentare sulle ecomafie e da una spirale di menzogne, nella quale si presume stiano anche i giornalisti.  Rifondazione comunista di Follonica 
La cava di Montioni dove sono stoccati i gessi rossi

SCARLINO. I lavoratori degli impianti industriali del Casone, da troppi mesi, vivono uno stillicidio che rischia di concludersi con un triste epilogo:  41 dipendenti della Venator e altrettanti delle ditte esterne che rischiano il posto. Una situazione intollerabile e inaccettabile per Rifondazione comunista di Follonica, che attacca duramente Regione a azienda per le scelte politiche e gestionali che hanno prodotto questo risultato. 

E per farlo fa un excursus sugli ultimi anni digestione politica e del territorio. «La vicenda di Pietratonda, i professionisti delle fake news, la bocciatura per motivi paesaggistici, la annosa carovana di venditori di frottole che, per la prima volta nella storia repubblicana, sono riusciti a sfociare in Parlamento con la lacunosa relazione della Commissione Parlamentare, oltretutto votata al di sotto del numero legale. Da lì la spirale della disinformazione, la distorsione dei fatti, altre menzogne inoculate nel sistema grazie ad un sensazionalismo alla ricerca di click. E infine la politica regionale, che non ha avuto coraggio, capacità e forza di arginare la bufera. Il risultato di tutto questo? 41 lavoratori della Venator, e altrettanti delle ditte esterne, che rischiano il posto», scrive Rifondazione.

Rifondazione comunista contro tutti

«Ci rivolgiamo dunque alla Regione – aggiungono – affinché si affretti a elaborare le necessarie autorizzazioni, non temporanee, alla discarica interna senza perdere altro tempo, come è accaduto con la diffida su Montioni che è stata smentita da una sentenza Tar. Tempo perso dall’assessora Monni – aggiungono – che da un anno interpreta in modo non corretto le relazioni Arpat. Esiste infatti una legge nazionale che autorizza il gesso all’utilizzo per ripristini ambientali di cave abbandonate idonee e la Regione deve applicare la legge».

«Non siamo neanche d’accordo con l’assessore Marras quando semplifica la questione dicendo che Venator è solo in cerca di “una grande buca da ricoprire”, quando invece siamo di fronte ad un modello di economia circolare. Ad oggi la linea Marras-Monni ha peggiorato la crisi del comparto del marmo apuano che non riesce a smaltire più la marmettola. Da questo deriva un’ecatombe di posti di lavoro in Maremma per l’assenza di prospettive nel medio-lungo periodo», aggiungono.

«Siamo altresì perplessi sulle condizioni di un ipotetico nuovo accordo di programma che punti alla riduzione della produzione di gesso tramite riconcentrazione. Il rischio reale di una simile soluzione è di aggiungere un processo estremamente energivoro (dunque l’antitesi di un’economia circolare e sostenibile), col rischio aggiuntivo di far andare fuori mercato l’intera filiera produttiva di Scarlino costringendo, stavolta sì, a trovare nuove grandi buche da ricoprire con la marmettola toscana».

Le responsabilità della Venator

E infine tocca alla Venator, responsabile secondo Prc di una totale «assenza di comunicazione in quest’ultimo anno di tempesta perfetta, che ha ingigantito quelle che potevano rimanere chiacchiere da bar. E altrettanta assenza di comunicazione adesso che serve una concertazione efficace per il bene di decine di lavoratori che sono anche decine di famiglie», scrive Prc.

«Dunque ben venga un contratto di solidarietà, ben venga un confronto tra azienda e sindacati, ben venga una prospettiva di ampia visione, per tutelare il lavoro, i lavoratori e l’ambiente. La positiva riuscita della manifestazione dei sindacati di mercoledì 26 ottobre nelle strade di Follonica, con la partecipazione anche di lavoratori di altre aziende del Casone rinnovando così la solidarietà tra lavoratori, lascia intravedere prospettive future».

Il corsivo: Noi, professionisti della disinformazione

di Lina Senserini 

“Carovana di venditori di frottole”, “professionisti delle fake news”, “spirale della disinformazione”, “distorsione dei fatti”, “menzogne inoculate nel sistema grazie ad un sensazionalismo alla ricerca di click”. Sono le colorite espressioni usate da Rifondazione comunista di Follonica nel comunicato sulla crisi occupazionale della Venator. Ce n’è per tutti: per la Commissione parlamentare sulle ecomafie, per la Regione, per la Venator e per i giornalisti, benché questi ultimi, mai nominati espressamente.

I comunicati arrivano, si leggono, si decide di pubblicarli, se occorre si tagliano senza snaturarne il contenuto. Alcuni non contengono la notizia, altri sono troppo lunghi, altri ancora hanno bisogno di una robusta revisione, ma mai – e sottolineo mai – finora era capitato di passarne uno che offendesse la figura professionale di chi deve pubblicarlo: il giornalista (la stessa figura professionale che in teoria dovrebbe averlo anche scritto).

All’estensore di questo comunicato, animato da tanto livore, vorrei dire solo una cosa: il mestiere del giornalista, per parafrasare Rino Formica, “è sangue e m…a”, è fatica, è sudore, sono ore passate a leggere le carte, a verificare i fatti, sono suole consumate a cercare le notizie, è dedizione, passione, studio (tanto), umiltà, curiosità, guizzo, amore per la verità, è sacrificio, è tempo sottratto agli affetti e alle famiglie, è sabato, domenica e festivi. 

Può capitare di sbagliare, certo (di infallibili ce n’è stato uno e non gli è andata tanto bene), di prendere un granchio, di fidarsi della fonte sbagliata, ma si rimedia. Pubblicando la notizia giusta e scusandosi con i lettori. 

Il giornalista (quello vero) è un professionista dell’informazione, non a caso iscritto a un Ordine, a cui arriva dopo un lungo percorso e non perché sa mettere in fila soggetto, verbo e complemento. E, non fosse altro che per questo, merita rispetto.

Forse per l’estensore del comunicato “fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”, come ebbe a scrivere Luigi Barzini Jr, che un grande giornalista (e figlio di giornalista) lo è stato nel secolo scorso. Non scherzava, perché un lavoro che si ama non è un lavoro.

 

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