Prigionieri dimenticati: il libro che commuove e fa tremare, ma anche sperare | MaremmaOggi Skip to content

Prigionieri dimenticati: il libro che commuove e fa tremare, ma anche sperare

Tanta gente a Maremmaoggi per la presentazione di “Prigionieri dimenticati” storie di italiani detenuti all’estero, sperduti nell’indifferenza della burocrazia e incatenati dall’ingiustizia
Due momenti della presentazione del libro Prigionieri dimenticati, di Katia Anedda. Con Guido Fiorini oltre a Katia c'è l'avvocata Francesca Carnicelli
Due momenti della presentazione del libro Prigionieri dimenticati, di Katia Anedda. Con Guido Fiorini oltre a Katia c’è l’avvocata Francesca Carnicelli

GROSSETO. Un’ora intensa, poggiata su emozioni spontanee, reali come le storie contenute in quelle pagine dure come l’acciaio, gridate al mondo e all’indifferenza.

Questo il paesaggio di Maremmaoggi, gremita in ogni ordine di posti, durante la presentazione del volume “Prigionieri dimenticati” storie di italiani detenuti all’estero, sperduti nell’indifferenza della burocrazia e incatenati dall’ingiustizia.

Parlano Katia Anedda e Francesca Carnicelli

Padrone di casa il direttore di Maremmaoggi Guido Fiorini, alla sua destra Katia Anedda, la penna che ha scritto le pagine insieme a Federico Vespa, a sinistra Francesca Carnicelli, legale della Onlus “Prigionieri del silenzio”, fondata e presieduta da Katia e dal Gruppo Idee, a cui si deve la pubblicazione dell’opera.

«Come redazione siamo veramente felici di accogliere Katia e Francesca – è il prologo di Fiorini – per affrontare un tema che rimbalza sui media, cioè gli italiani detenuti all’estero. Secondo gli ultimi dati ministeriali si tratta di circa 2000 connazionali. Nel 2008 è nata l’associazione Prigionieri del silenzio, che fornisce un supporto a chi si trova, a volte per motivi seri, a volte meno, nelle carceri all’estero. La prima domanda è: perché i casi come per esempio la Salis, i Marò sono stati capaci di raggiungere vertici nazionali e altri, invece, sono rimasti sepolti nell’ombra?».

«Perché qualcuno decide che quelli devono essere seguiti in maniera particolare – risponde Carnicelli – ed è un errore ferale. In quel momento si mettono in moto tutti i circuiti consolari verso quei nomi abbandonando, di fatto, tutti gli altri. Un errore molto grave. È vero che molte famiglie preferiscono restare in silenzio per vergogna o paura che riferendosi ai media ci possano essere conseguenze negative come ritorsioni o ricatti da parte dello stato in cui è rinchiuso il famigliare».

«Non lo so perché certi casi emergano prepotentemente e altri no. So invece che le attenzioni dovrebbero essere livellate. Si pensa che lo stato italiano – prosegue l’avvocata – possa intervenire nella giurisdizione delle altre nazioni, ma non è così. Ogni stato è sovrano, possiamo tutelare i diritti dei connazionali, ma non pensare di poter interferire nella giustizia di altre nazioni. La nostra lunga esperienza ci dice anche che sarebbe un errore farlo. Lo stato italiano deve farsi sentire, deve essere presente, ma senza interferire, in caso contrario lo stato straniero si potrebbe difendere sulla pelle del recluso».

Nasce Prigionieri del silenzio

Anedda parla della nascita della Onlus Prigionieri del silenzio, del caso del toscano Carlo Parlanti, una vicenda che le sta particolarmente a cuore.

«Un incubo, ero la sua compagna. Carlo si è trasferito in California per lavoro, è rientrato dagli Stati Uniti senza sapere di essere un ricercato e, successivamente è stato arrestato. Non sapevo cosa fare, e lo spiego nel libro. Ho bussato a tutti i ministeri, poi ho scoperto che il mio non era un caso isolato. Ho contattato tutte le altre famiglie e ci siamo uniti nell’associazione stringendoci nei nostri dolori. Non importa se queste persone siano colpevoli o innocenti, ci sta profondamente a cuore come vengono trattati, se i loro diritti vengono rispettati o no. Soprattutto negli stati del sud America e in Africa questo non accade e le condizioni sono bestiali».

Le mamme coraggio, Ornella e Cecilia

Due dei tanti casi riportati nel libro erano presenti online.

La prima è Ornella Matraxia il cui figlio è stato arrestato in Romania dove è ancora rinchiuso: «È quasi un anno che Filippo è recluso in attesa di giudizio per traffico di stupefacenti. Abbiamo presentato le carte, le prove e tutto quello che avevamo per dimostrare che è innocente, ma niente è stato preso in considerazione da quel tribunale. L’udienza di appello, nel primo giudizio la condanna è stata di 8 anni, è fissata per il 19 aprile».

«Le condizioni di prigionia sono terribili. Dopo l’intervento della Farnesina la qualità è migliorata, Filippo è in una cella più piccola, più pulita, è più protetto dopo aver subito aggressioni importanti. Dopo aver conosciuto l’associazione mi sento meno sola, ho un debito di gratitudine con Katia».

La seconda testimonianza è di Cecilia Renda, mamma di Simone, morto in un carcere messicano durante un viaggio di piacere: «Un dolore atroce. Era partito per una vacanza in Messico, non è più tornato. Ho saputo della sua scomparsa attraverso dei fax che chiedevano il pagamento della sua cremazione. Non si era svegliato in tempo perdendo l’aereo, e in Messico se non lasci in orario la stanza interviene la polizia. Così è stato, Simone è stato incarcerato senza che sia stata avvisata l’ambasciata italiana e il giorno dopo è morto».

Racconti raccapriccianti, struggenti, sconosciuti. Adesso i fogli del libro trattengono insieme queste figure, i loro famigliari, i cuori lacerati, le vite sconvolte, gli anni di sofferenze inaudite. La pubblicazione si può trovare nella sede dell’associazione in corso Carducci 26.

I proventi andranno ad alimentare questo difficilissimo cammino.

L’evento godeva del patrocinio del comune di Grosseto, con i saluti del sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna e una lettera di Giorgio Silli, sottosegretario agli Affari esteri.

LE FOTO DELLA PRESENTAZIONE

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