GROSSETO. Questa è una fiaba reale. Scoprirla e scriverla nel periodo natalizio è una coincidenza ammaliante, una luce abbagliante nelle tenebre dell’attualità. Contemporaneamente è un racconto, che abbina l’eccezionalità della chirurgia alla fede, fonde il laico al credente abbracciando tutti, nessuno escluso. Tra le righe della narrazione possono correre libere qualsiasi ipotesi, ogni opinione, qualsivoglia interpretazione le si voglia attribuire.
Una cosa, invece, è indiscutibile come la luce del sole, le onde del mare: vedere da molto, molto vicino il labile confine tra la vita e la morte attraversando territori inesplorati, umanamente impossibili da descrivere, neanche da ricordare.
Una testimonianza da assorbire come farmaco antidepressivo, una pillola che rilancia con forza e decisione le parole vita e speranza. È la storia di Mirko Pancellini, nato a Grosseto nel 1997, diplomato al liceo scientifico, laureato in fisioterapia all’università di Bologna, un ragazzo con la passione della bicicletta.
Un incontro al limite del surreale
Mentre l’ascensore sale per raggiungere il sesto piano dell’ospedale Misericordia, chi scrive avverte in pieno la delicatezza dell’incontro, il sottile disagio di stringere la mano ad un uomo dichiarato morto e poi ritornato al mondo.
Mirko ha la flebo attaccata, è in piedi, sorride, una fasciatura bianca gli ricopre parte della testa, gli occhi pungono. Le domande ipotizzate vengono cancellate, la penna si ritira, Mirko ritorna al principio della registrazione.
La leggenda di Mirko
«Era il 9 novembre, una domenica. Pedalavo, insieme all’amicone Thomas, sulla bici da corsa comprata usata a settembre. Il tempo era bello, c’era il sole, l’asfalto un buon alleato, percorrevamo la strada provinciale Aione». Mirko fa una sosta e riprende: «Alle 10,34 ci siamo fermati per scattarci una foto non immaginando che sarebbero poi trascorsi solo 3′ prima della mia caduta in terra. Thomas stava avanti, non ha visto perché sono cascato, ha sentito solo un grido. I miei ricordi si fermano a questo punto. Tutto è diventato nero e silenzioso».
Thomas chiama i soccorsi, avverte la famiglia, arriva Pegaso, quindi il volo verso Siena, l’operazione al cervello, l’avvertimento ai genitori che la situazione è delicatissima, Mirko è in coma, vicinissimo alla morte, la medicina si ferma qui.
Sono ore disperate, crudeli, feroci, vietato illudersi. Ma il cellulare dei genitori resta muto per tre giorni mentre Mirko resta addormentato artificialmente.
«Stavo morendo senza saperlo»
«Questo poi mi ha fatto molto arrabbiare, stavo per morire senza saperlo – riprende – sono rimasto 14 giorni in quel nero assoluto, senza finestre e suoni, senza nemmeno il dolore. Poi ho visto una luce. Tra lo sbigottimento dei medici ho riaperto gli occhi. Non sapevo dov’ero, perché c’erano i miei genitori e i miei amici. Soprattutto non conoscevo le cause che mi avevano portato su quel letto».
I progressi sono incredibili. A Mirko vengono spiegati i mille perché ancora oscuri. «Ringrazio Thomas, mi ha salvato la vita – quasi sospira guardando l’amico seduto accanto – i primi giorni non parlavo, non riuscivo a dire buongiorno. Adesso ho ripreso a dialogare, a volte mi devo fermare ma l’atmosfera è completamente cambiata, sono ritornato autonomo anche se il tragitto sarà ancora lungo». Quindi la confessione di un piccolo, incredibile, dispiacere: «I giorni di tenebra sono coincisi con la discussione della tesi al Master. Saputa la notizia a Bologna mi hanno applaudito dedicandomi un minuto di silenzio. Mi aspettano, tutti hanno parlato di me e tutti saranno presenti».
«Hanno conservato la mia calotta cranica»
Infine i futuri passi verso il totale recupero: «Sotto la benda in testa non ho la calotta cranica, l’hanno conservata per quando me la rimetteranno».
Il suo spettacolare sorriso bagna gli occhi che accendendo il Natale.



