GROSSETO. New York, 2 novembre. Un fiume di gente, due milioni di spettatori ai lati della strada, e un ragazzo di Grosseto che, insieme a un coetaneo e alle zie, compie un piccolo atto di audacia.
Mattia Corsi, appena diventato maggiorenne il 31 ottobre, è stato il più giovane iscritto alla maratona di New York. È lì per un regalo speciale. Un regalo di compleanno, sì, ma anche qualcosa di più: un’avventura costruita con lo spirito di chi crede che la vita vada presa di petto.

Mariella Corsi, sua zia, gli aveva detto: «Facciamola insieme». Tra mille impegni, tra il lavoro e le giornate incastrate come tessere di un puzzle, si erano messi d’accordo. E il 31 ottobre, mentre Mattia spegneva le candeline dei suoi 18 anni, la storia era già cominciata. Con Mariella che aveva lanciato l’idea e Mattia che l’aveva subito presa al balzo, c’erano anche Cristina Lanzetti, amica di Mariella e il nipote Francesco Lanzetti. Anche lui diciottenne da pochi mesi.
La preparazione “alla meglio” e la sfida impossibile
La squadra, quindi, è questa: Mariella, Cristina – maremmana d’adozione, originaria della provincia di Cuneo che da anni vive in città – e i due nipoti diciottenni, Mattia e Francesco.
La preparazione per quei 42 km e 195 metri da Staten Island a Central Park è stata quello che poteva essere. Un po’ alla meglio. Tra un impegno e l’altro, tra un respiro e il successivo.
Mariella però lo sport lo conosce. La pallavolo in serie B, qualche maratona già nelle gambe. Due già concluse a New York, nel 2007 e nel 2013. Quell’anno con lei, a correre c’era anche Cristina. New York la adora: «Era la scusa perfetta», confessa.
Cristina invece la guarda come si guarda un sogno troppo grande. Ma si lascia trascinare.
E poi ci sono loro, i ragazzi. Mattia e Francesco. Alla prima volta nella città che sembra un film, e alla prima maratona della loro vita.
Terramia Italia, le canottiere, i nomi scritti: la tribù in corsa
La scena è quasi cinematografica. Quattro maremmani, chi per nascita, chi per scelta, che attraversano i ponti della città con le canottiere di Terramia Italia, con i nomi scritti sul petto.

Perché nella maratona di New York non si corre soltanto: si racconta chi sei. Lo fai uno sguardo alla volta, una falcata alla volta. E loro quattro, quel 2 novembre, se lo sono corso tutto d’un fiato. Sempre insieme, uno a accanto all’altro, con lo stesso passo.
Cinque ore e ventuno: arrivare al traguardo è tutto
Cinque ore e ventuno minuti. È questo il tempo ufficiale impiegato dai quattro per tagliare il traguardo. Un tempo breve, se si pensa che i due ragazzi praticamente non si erano nemmeno mai allenati e che le zie, pur con diversi chilometri nelle gambe, non sono delle podiste.
Ma la cifra è solo un dettaglio, un numero che non dice niente di ciò che davvero conta.

Conta il momento in cui, dopo il Queensboro Bridge, la città comincia a spingerti letteralmente avanti. Conta l’urlo della gente, quel tifo continuo che non si sente da altre parti. Perché lungo nessun altro percorso ci sono due milioni di persone che tifano.
Conta l’arrivo, tutti e quattro insieme, le braccia alzate come chi entra in un sogno e decide di restarci un secondo di più.
«Arrivare in fondo è stata un’esperienza meravigliosa», racconta Mariella. L’obiettivo era quello.
E dopo? C’è la magia. Perché il giorno successivo, girando per Manhattan con la medaglia al collo, la gente ti ferma. Ti guarda come si guarda qualcuno che ha fatto qualcosa di grande. «È un piccolo momento di gloria – dice Corsi – Le persone ti sorridono, ti applaudono, ti fermano».
Un cerchio che si chiude
Per Mariella questa maratona ha un sapore particolare. «La corsi la prima volta nel 2007 – ricorda – partii il 31 ottobre, il giorno in cui Mattia nasceva». Poi nel 2013, insieme a Cristina.
E oggi, ancora una volta, c’è un filo che torna al punto di partenza: correre accanto a quel bambino diventato maggiorenne da due giorni.
Mattia e Francesco ora la sminuiscono, come fanno tutti i diciottenni davanti a qualcosa di grande. Ma un giorno, magari tra anni, rivedranno le foto, le canottiere, la medaglia. E capiranno. Capiranno che la maratona di New York non è stata solo una gara ma un patrimonio che resterà per sempre con loro.



