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Giornata della memoria: «Ricordiamo anche gli eroi»

Il 27 gennaio è dedicato alle vittime della Shoah, ma anche a chi ha rischiato la propria vita per salvare le donne e gli uomini perseguitati dai nazisti. Lo storico Biondi: «A Pitigliano e Sorano, tante le famiglie che hanno aiutato gli altri»
Il cancello di Auschwitz uno

Di Elisa Bartalucci e Marina Caserta

PITIGLIANO. Il 27 gennaio del 1945 si aprirono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz. I detenuti vennero liberati e il mondo intero vide per la prima volta l’orrore del genocidio nazista. Una data che dal 2005 è stata proclamata, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il “Giorno della Memoria“. Un appuntamento con la storia che non solo vuole ricordare i 15 milioni di vittime dell’olocausto, di cui 6 milioni di ebrei e il 70% della popolazione sinti e rom, ma che vuole invitare alla riflessione sul perché è nata la Shoah e la discriminazione verso altri uomini.

Il 27 gennaio di ogni anno ci fermiamo a ricordare lo sterminio, la persecuzione italiana dei cittadini, le deportazioni da ogni angolo d’Italia, fra cui Roccatederighi, la prigionia e la morte. Il 27 gennaio dovremmo ricordare anche tutti gli eroi, che con la loro forza e con tutti i mezzi che avevano a disposizione si sono opposti all’atroce sterminio e che, anche a costo di mettere a rischio la propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Per onorare ed omaggiare gli eroi che hanno messo a repentaglio la propria vita per salvare delle persone dal genocidio nazifascista, è stato coniato il termine ebraico i “Giusti fra le nazioni”: divenuto, dal 1962 un’onorificenza ufficiale conferita dall’Yad Vashem, l’ente nazionale per la Memoria della Shoah israeliano. Ed è proprio per i giusti la riflessione che fa il professore Angelo Biondi, autore del testo “Gli ebrei nella Maremma e la Comunità di Pitigliano”.

Dobbiamo ricordare gli eroi

Ricordare gli eroi è necessario per scoprire quanto l’uomo sappia essere solidale. «Nella Giornata della Memoria mi piace ricordare le tante famiglie pitiglianesi che hanno aiutato gli ebrei perseguitati – dice Biondi – ogni ebreo, che era costretto a scappare per fuggire dai nazisti, ha avuto anche cinque o sei famiglie cristiane diverse che hanno dato lui riparo, cibo e dove dormire».

È proprio sulla solidarietà che il professore pone l’accento, su questa innata abitudine delle famiglie pitiglianesi, che con consapevolezza agivano per aiutare il prossimo. «Oggi c’è meno affetto, meno disponibilità e meno solidarietà, quest’ultima oggi sembra essersi un po’ persa – dice il professore – eppure c’è molta più ricchezza. C’era tanta povertà all’epoca tra la popolazione, anche il cibo era scarso, ma in qualche modo si trovava il modo di dividerlo con tutti».

L’aiuto dato ai perseguitati non veniva solo dai pitiglianesi. «Uno dei figli di una famiglia di Sorano ebrea si rifugiò per nascondersi in un gallinaio ed era di un fascista. Quest’ultimo quando andò a governare le galline lo trovò – racconta Biondi – ma non lo portò dalle autorità ne lo cacciò, ma lo aiutò a nascondersi e gli portò acqua e qualcosa da mangiare».

L’umanità mostrata dai bambini

Il professore racconta diverse storie del passato, che anche oggi scaldano i cuori. «I dirigenti fascisti applicavano severamente le leggi raziali del ’38 – dice Biondi – e il segretario comunale proibì al figlio di giocare con il loro vicino di casa perché era ebreo. Gli altri bambini del paese, invece, continuarono a giocare con il bambino discriminato. Alla fine quello che rimase veramente solo è stato il figlio del segretario».

Insomma, la Giornata della Memoria deve essere un momento di riflessione profonda, che ci aiuti non solo a ricordare per non ripetere, perché come diceva Primo Levi «l’Olocausto è una pagina del libro dell’umanità di cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria», ma che sia anche un momento per riscoprire e coltivare i valori dell’aiuto, della fratellanza, della solidarietà e dell’umanità che si sono persi nel tempo.

Un viaggio ad Auschwitz

Un campo di concentramento è silenzio, neanche un insetto osa fare rumore in un posto dove c’è tanta disperazione. È letti ammassati in stanze. È lotta per dormire in alto al freddo, ma dove almeno non cascano le feci degli altri detenuti ammalati. È disperazione, desolazione e sadismo. È la casa del generale costruita dove arrivavano i fumi dei detenuti bruciati nelle fosse comuni. È paura, lotta alla sopravvivenza ed esperimenti. È bambini con caratteristiche ariane sottratti ai genitori e dati al popolo tedesco. Almeno quelli non impiccati in un seminterrato di una scuola, talmente leggeri e denutriti che i soldati per ucciderli hanno dovuto tirarli in giù per i piedi mentre avevano una corda al collo. È il 70% dei sinti e rom sterminati

È i polacchi sterminati. Gay. Disabili. E chi più ne ha più ne metta.

Auschwitz è un luogo dove non esiste l’amore, ma solo qualche gesto di compassione mostrato dagli eroi, che facevano fuggire, regalavano un pezzo di pane o un po’ d’acqua ai detenuti.

Eppure oggi la storia si ripete, l’odio dilaga e distrugge la memoria, c’è chi teme la sostituzione razziale. «Sono troppi, e noi italiani?». «Aiutiamoli a casa loro». «Non sono razzista, ma…». «Questo paese è mio». Auschwitz nasce dalla paura di un popolo che teme la diversità e per cui le vite hanno valore in base alla propria etnia.

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