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«Devi indossare il velo, sei troppo occidentale»

Denunciata dalla nipote ventenne, la zia della ragazza è accusata di maltrattamenti. Lei si difende: «Non l’ho mai picchiata»
Donne con il velo
Donne con il velo

GROSSETO.  «Il comportamento di mia zia e di mio fratello è il frutto dei dettami religiosi che, specialmente nei confronti della donna, sono più severi e a mio avviso assurdi». Comportamenti che sarebbero andati – a leggere la denuncia presentata da una ragazza che oggi ha 23 anni – dalle botte con il manico di scopa o con il mestolo al divieto assoluto di indossare un costume per andare al mare. Impedendo in questo modo alla ragazza di poter vivere come tutte le sue amiche.
È la storia arrivata questa mattina nell’aula del tribunale di Grosseto, di fronte al giudice Andrea Stramenga.

Costretta a restare in casa senza uscire

A luglio dell’anno scorso, la vicenda della ragazza è arrivata nell’aula del giudice per l’udienza preliminare: Marco Mezzaluna aveva rinviato a giudizio la zia della ragazza per il reato di maltrattamenti, su richiesta del sostituto procuratore Giampaolo Melchionna.

Era stata la giovane, arrivata in Italia con la zia e il fratello poco più grande di lei all’età di 4 anni, a far scattare le indagini della questura, che aveva raccolto la sua denuncia. In Italia con un visto per motivi umanitari, da bambina aveva donato il midollo al fratello, salvandogli la vita. Fino all’età di 11 anni, la ragazza, assistita dall’avvocata Loredana Pinna, aveva vissuto una vita serena a Grosseto. Ma crescendo – ha raccontato ai poliziotti – la zia e il fratello le avrebbero impedito di comportarsi come le sue amiche. Per loro, era troppo occidentale.

La vicenda della ragazza, che si è convinta a sporgere denuncia contro la zia due anni fa, dopo essersi allontanata da casa, è finita ora nell’aula del dibattimento.
«A confronto con le mie amiche – aveva raccontato la ragazza agli investigatori – non ho la libertà di uscire nemmeno per recarmi in biblioteca perché per loro, che lo faccia una donna, è una stranezza. Ogni cosa che potrei condividere con le mie compagne mi viene negato. Non posso assolutamente andare al mare perché è vietato
a una donna mettersi in costume oppure andare in discoteca o uscire semplicemente di sera».

Nell’agosto di due anni fa, la giovane aveva però deciso di spezzare quelle catene che la costringevano a vivere una vita che non voleva. Uscita da casa per fare una passeggiata, aveva detto alla zia di essere in compagnia di un’amica, ma non era vero.  «Ero seduta sul letto quando mia zia è entrata e ha cominciato a colpirmi, a prendermi a ciabattate, a picchiarmi con i miei sandali sulle gambe – aveva raccontato la ragazza ai poliziotti – Poi è uscita, ma dopo un’ora è rientrata e ha ripreso a urlare, a offendermi. Mi diceva “potrei anche ucciderti”».

La zia si difende in aula

Difesa dall’avvocata Sabrina Pollini, la zia della giovane ha respinto fin dal primo momento tutte le accuse mosse dalla nipote. La donna che non indossa nemmeno il velo, se non come un turbante, ha sempre respinto le accuse. 

«Non l’ho mai picchiata – ha sempre sostenuto la donna – qualche volta l’ho ripresa e brontolata perché non dava mai una mano a rimettere in ordine, perché non mi aiutava». 

La donna, che oggi ha 62 anni, ha cresciuto i due bambini: laureata in Iraq, era stata scelta dalla famiglia proprio per dare una speranza ai due nipoti. Ora dovrà difendersi in tribunale. Il processo, che è cominciato questa mattina, giovedì 20 gennaio davanti al giudice Andrea Stramenga, (vice procuratrice onoraria Pamela Di Guglielmo), è stato rinviato all’anno prossimo. 

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