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Curvy (non) è sempre bello

Il messaggio inviato dal manifesto della partita suore contro curvy visto da chi, sovrappeso, lo è: con buona pace del body positivity
Le due locandine dell'iniziativa
Le due locandine dell’iniziativa

GROSSETO. Chiariamoci subito. Qui Francesca Maria Giuliano e la sua immagine procace sul manifesto della partita di beneficenza tra la nazionale delle suore e la nazionale curvy non c’entra nulla. O meglio. C’entra il messaggio che con quell’immagine è stata lanciato, un messaggio che ammicca e strizza l’occhio ai maschi attratti da un modello di donna, quella con le curve appunto, che sminuisce gli uni e le altre: le donne in carne, presentate con la vita da vespa e la sesta di seno; gli stessi uomini, lucci all’amo che per entrare in un impianto sportivo e fare beneficenza hanno bisogno di essere stuzzicati con messaggi chiaramente sessuali. Con un’immagine che scivola, inevitabilmente, nel sessismo. 

Anche se poi, in campo, ci sono le suore, ci sono le curvy, ci sono le amministratrici, le calciatrici di Finanzia & friends e di altre associazioni: lo scopo, insomma, è nobilissimo.

Body positivity ma non troppo

Chi vi parla è una “curvy” che si è stufata di doversi cucire addosso un’etichetta, anche se è quella del body positivity. Perché magre o grasse, alte o basse, more o bionde, tettone o piallate, le donne dovrebbero poter vivere senza sforzarsi di piacersi a tutti i costi o senza dover rispondere a questo o a quell’altro modello. “In media stat virtus”, dicevano i latini. E in quella via di mezzo ci dovrebbero rientrare anche i corpi delle donne, che, a seconda che l’ago della bilancia salga o scenda, si devono piacere per forza, si devono accettare, si devono guardare allo specchio e sentirsi contente. Ma perché, poi? E inoltre: perché per presentare le curvy, si deve stilizzare il disegno di una donna in carne in mutande e top e non di una donna in tuta da ginnastica?

La faccenda della partita di beneficenza e dei tre manifesti pensati e scelti per pubblicizzarla riportano tutte al punto d’inizio: se sei tonda, per essere attraente, ti devi svestire. O se resti vestita, devi mettere una giacca stretta che ti toglie il respiro, con le tette strizzate in primo piano. O ancora: in mutande e reggiseno, anche in un disegno

Una campagna sessista

La realtà, però, è ben diversa: ci sono giorni in cui una donna curvy vorrebbe uscire da casa con uno scafandro addosso, giorni in cui invece vorrebbe andare al mare solo per godersi la spiaggia e il sole, senza pensare a quella marca e a quell’altra che hanno fatto la taglia giusta anche per chi è in carne. Perché qui si passa dall’assillo della prova costume, del paio di pantaloni che non arrivano più, del metro da sarta chiuso in un cassetto per misurarsi il punto vita all’immagine da copertina di Playboy. Senza la via di mezzo, senza la neutralità, senza quella sana aspettativa che tutte le persone, grasse o magre hanno il diritto di pretendere: che gli altri si facciano gli affari loro.

Non i medici con i loro consigli, ad esempio. Perché grasso è bello lo dicevano le nostre nonne, senza però considerare i problemi di salute correlati al sovrappeso. Non le guru della body positivity, che hanno cercato di lanciare un messaggio che però poi non ha fatto centro. E che alla fine, non ha riguardato le donne grasse davvero. Quelle che nonostante tutti gli sforzi fatti da una parte della società, hanno continuato ad essere prese di mira, sbeffeggiate e derise.

E allora, alla fine, perché non lasciar perdere ed evitare di andare avanti per stereotipi? Perché non potersi imbacuccare in una bella e comoda tuta da ginnastica per fare sport, in una divisa della squadra di calcio, in un costume per nuotare o in un bikini per prendere il sole senza dover per forza ammiccare e sedurre?

Sulle piattaforme web del porno la categoria curvy è una delle più cliccate. Ma almeno, quando si parla di calcio e beneficenza, si potrebbe evitare di farlo, il fastidioso “due più due” tra sesso e peso? 

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