GROSSETO. C’è una cosa che va detta con onestà: nessuno ce l’ha con il tecnico che ha segnato con una X scarlatta 215 alberi di Grosseto, condannandoli alla motosega. Con 19 euro di compenso a scheda, poco tempo a disposizione e un incarico enorme sulle spalle, non poteva fare miracoli.
A quel prezzo e con quei tempi, qualsiasi valutazione diventa necessariamente sommaria. E quando la responsabilità ricade su di te, nel dubbio – spesso – tagli. È umano. È comprensibile.
Ma è anche il motivo per cui un piano così vasto meritava ben altre risorse e ben altri strumenti. Un’analisi più approfondita, pianta per pianta.
Perché bastava un approfondimento in più
Le segnalazioni dei cittadini – rami pesanti, radici che sollevano marciapiedi, alberi inclinati – sono preziose. Ma non possono bastare senza una verifica scientifica. Non sono una prova, sono un indizio.
E infatti è bastato un approfondimento fatto bene per smontare l’intero impianto: il “maestro”, l’esperto che ha contribuito a formare lo stesso tecnico incaricato dal Comune, nella sua controperizia ha dato uno scappellotto professionale all’allievo.
Qui non siamo davanti a una guerra di partiti. Non è questione di attacchi, difese, risposte più o meno piccate.
Siamo davanti a un rischio concreto: trasformare in cippato alberi storici, che fanno parte del paesaggio, danno ombra, migliorano l’aria, proteggono dal caldo estremo e – cosa che si dimentica sempre – aumentano il valore delle case.
Tagliare un pino adulto e dire “ma tanto abbiamo piantato cento alberelli” è come rispondere a uno che ti attacca con una mazza da baseball tendendogli una scatola di stuzzicadenti: non è la stessa cosa.
Il vero nodo: anni di potature sbagliate e nessun piano del verde
Un albero adulto non si rimpiazza. Servono decenni, a volte una generazione intera.
E anche questo va detto: per anni sono state fatte potature sbagliate, spesso mutilazioni vere e proprie, e manca ancora un piano organico del verde. Si vede, si percepisce: troppa improvvisazione, troppi interventi a macchia di leopardo, magari lasciando valutazioni importanti solo agli operai delle ditte incaricate di volta in volta, troppe decisioni prese senza una visione complessiva.
La protesta, infatti, è trasversale, anche fra gli abituali “tifosi” in tanti sono arrabbiati. Il tema non è di destra o di sinistra. È una questione di buon senso e anche di qualità della vita.
Fra un anno si vota, ed è inutile far finta di niente: questa vicenda peserà parecchio. La difesa del patrimonio arboreo è molto più ampia delle tifoserie. Ma c’è una cosa che pesa più delle urne: gli alberi tagliati non ricrescono se dovesse cambiare il colore della giunta.
Quello che si taglia oggi, domani non c’è più.
La soluzione c’è: rivedere tutto e salvare ciò che si può salvare
E allora la strada è semplice, e non dovrebbe dividere nessuno: rifare la valutazione con criteri più seri, eliminare gli alberi davvero pericolosi e salvare tutti gli altri.
Perché un patrimonio costruito in decenni non si cancella con una determina. E perché una città più povera di alberi è una città più povera, punto.
Serve prudenza. Serve scienza. Serve buon senso.
E servono adesso.



