GROSSETO. Era il marzo del 1987 quando scese in campo, cioè tra i pali, per la sua prima volta. Vincenzo Sabatini aveva 17 anni.
Adesso ne ha 53, ed è ancora in mezzo a quei sostegni dove è incollata la rete, che deve difendere. In mezzo ha collezionato qualcosa come 1000 partite. Mille.
Una cifra che sfiora l’inverosimile visto che, tradotta, significa 90mila minuti (al netto dei recuperi), 1500 ore, 62,5 giorni. Due mesi e spiccioli trascorsi a fare da sentinella a un rettangolo largo 7,32 e alto 2,24 metri, cioè la soglia del portiere.
Un mestiere per nulla facile perché tutti gli occhi gli sono addosso, la critica dietro l’angolo, la papera pronta a cancellare ogni tipo di miracolo che ha sfoderato volando qua e la rischiando pure di prendersi uno scarpino in fronte.
Una dannata, meravigliosa arte che Vincenzo Sabatini continua ad esprimere con infinito amore e capacità. Lui è il portiere. Punto.
Il resto è solo calcio
Hai sempre camminato a testa alta rigettando sempre facili compromessi. Rimpianti?
«Rispondo con un no totale, e ne sono fiero anche se qualcosa ho lasciato indietro rimettendoci in proprio. Non conosco la parola rimpianto, ho sempre deciso con coscienza rispettandomi come uomo e come atleta. E ho fatto bene. Se guardo quello che sono oggi, anche sul campo lavorativo, mi sento gratificato e realizzato».
Ti senti più ammirato o invidiato?
«Credo guardato con interesse, ammirato mi sembra troppo. Qualche invidia la percepisco ma è sporadica, nella normalità della vita».
Sei stato tradito?
«Questo sì. È successo quando indossavo la maglia del Grifone. Il ds decise che non dovevo essere più titolare e chiamò Valleriani. Probabilmente era già scritto. Persi i capelli andando in depressione. Un brutto periodo. Con Valleriani poi sono diventato molto amico».
Sabatini e il calcio professionistico. Una scintilla mai accesa.
«L’ho sempre sfiorato, ci sono andato vicino, non l’ho mai raggiunto. La migliore situazione nel 1995 quando vincemmo il campionato di serie D arrivando in C2. Il nuovo allenatore era Giordano, il contratto sicuro. Ero felice, sarei stato professionista a pochi chilometri da casa con la maglia che amavo in maniera esplosiva. Poi arrivò il terremoto, crollarono anche i sogni».
Hai avuto più gioie o più delusioni?
«Se guardo indietro rispondo che sicuramente sono state più le gioie. Le delusioni le ho accantonate, anzi cancellate».
Ti ritieni un eroe?
«Sono una persona normalissima, che nella quotidianità lavora con lo stesso impegno messo nel calcio. Ogni tipo di partita va sempre approntata con il medesimo impegno senza trascurare i particolari».
La rete più dolorosa?
«Quella presa al “Centro Italia” al 90′. Avevo parato anche l’impossibile, in pagella avrei meritato 25 (ride), all’ultimo secondo Senneca mi superò dando la vittoria al Rieti».
Quella più esaltante?
«Non ho dubbi. Eravamo a Nizza Millefonti vicino Torino, era una traiettoria molto particolare. Raggiunsi la sfera sul primo palo riuscendo a levarla dallo specchio. Mi chiesi e ancora mi chiedo, come ho fatto ad arrivarci. Ma quella più eccitante sarà sicuramente la prossima».
Zoff ti ha chiamato?
«Non poteva mancare. I suoi complimenti non sono mai banali, li incarto e li conservo come gioielli».
Hai sempre giocato come portiere?
«Sempre, sin da quando ero un bambino di 5-6 anni. Uscivo di casa con il mio pallone più grande di me per iniziare partite infinite. Sempre in porta, sempre attento, sempre emozionato. E felice».
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Collaboratore di MaremmaOggi. Ho viaggiato sulla carta stampata, ho parlato alla radio e alla televisione. Ora ho la fortuna e il privilegio di scrivere online su maremmaoggi.net. Come lavagna uso il cielo. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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