Minori e sballo da alcol: «Serve una rete di prevenzione» | MaremmaOggi Skip to content

Minori e sballo da alcol: «Serve una rete di prevenzione»

Laura Turacchi (Uscita di Sicurezza): «I danni della pandemia sui ragazzi sono stati importanti. Va ricostruita una socialità in presenza»
Il momento dei soccorsi alla ragazzina in piazza del Sale da parte della Croce Rossa
Il momento dei soccorsi alla ragazzina in piazza del Sale da parte della Croce Rossa

GROSSETO. Non serve la repressione, non servono le sanzioni, serve una rete di prevenzione.

E un coinvolgimento dei minori nella socializzazione, in particolare dopo i danni causati dalla pandemia. Che ha accresciuto un problema già presente, togliendo ai ragazzi punti di riferimento che spingono alla ribellione.

E all’isolamento.

Lo dice con chiarezza Laura Turacchi, responsabile area minori di Uscita di Sicurezza e coordinatrice pedagogica. Che traccia un quadro che va oltre il singolo episodio di sabato sera, quando una ragazzina si è sentita male in piazza del Sale per eccesso di alcol, un quadro che coinvolge le famiglie, le istituzioni, le società sportive e il terzo settore.

E magari anche noi della stampa, che siamo sentinelle sul territorio, ma che spesso affrontiamo i temi solo quando succede qualcosa di grave. Quindi un’autocritica è doverosa: proveremo a tenere il dibattito vivo e a coinvolgere di più tutti i protagonisti.

«Perché dopo la pandemia il problema è diventato più serio – dice Laura -: lockdown, chiusura dei locali, stop alle attività ludiche e sportive condivise, hanno creato un danno importante ai ragazzi. Che reagiscono isolandosi e, in molti casi, bevendo. Tanto, nonostante i controlli, l’alcol lo trovano con facilità, magari grazie alla complicità di qualche amico appena maggiorenne».

Basta fare un giro su Instagram, o Tik Tok, le piattaforme social preferite dai più giovani, per vedere post, storie e brevi video in cui le bottiglie vengono esibite come trofei. Comprate prima di arrivare in centro. Poi basta un angolo buio per berle. Una sfida ai divieti vinta con estrema facilità. 

Dialogo e socializzazione, attività sportiva, spazi dove stare insieme, sono queste le risposte possibile per prevenire il fenomeno: «Le sanzioni servono a poco. Il centro ormai è pattugliato in modo capillare dalle forze dell’ordine. Magari servirebbero anche operatori di strada che parlino con questi ragazzi, educatori che li ascoltino e li facciano riflettere. Serve una rete, perché anche le famiglie non si sentano troppo sole ad affrontare il problema. Non sempre hanno gli strumenti per farlo da sole».

In molte città, grazie al terzo settore, l’esperimento funziona. Accanto ai cani antidroga e alle pattuglie in divisa, ci sono molti educatori in borghese che con i ragazzi parlano. Li ascoltano. Provano a dare loro delle risposte.

Lavorare sulle cause e non sui sintomi

«Serve capire da dove arrivi questo fenomeno. E serve un lavoro costante, che renda una certa socialità a questi ragazzi, facendoli sentire partecipi di quello che fanno. Lo sport è importante, così come sarebbe importante avere spazi dove fare musica, confrontarsi, condividere esperienze».

«Va ricostruito un tessuto sociale che la pandemia ha sgretolato, sostituendo di fatto la socialità in presenza con una virtuale. Non è certo la stessa cosa. Il virtuale ha sempre i suoi muri. I ragazzi non riescono più a condividere momenti in compagnia, preferiscono isolarsi, attaccati al telefonino. Ecco perché tutti dobbiamo collaborare, già durante il giorno, non solo la sera. Va ricostruita una modalità di vivere la giornata».

Peraltro l’età dello sballo si è anche abbassata: «Noi adulti sbagliamo a misurare i fenomeni con il nostro metro. Quando eravamo noi adolescenti era diverso, ormai i 13-14enni sono come eravamo noi a 17-18 anni. E capisco che in molti casi, per le famiglie, sia più facile dire un sì che un no».

«Però i ragazzi hanno un grande bisogno di vivere momenti di benessere che, con la pandemia, non ci sono più stati. Per questo insisto sulla rete: le occasioni di socialità in presenza vanno ricostruite tutti insieme, dal doposcuola all’attività sportiva, dai centri culturali alla musica, facendoli mettere in gioco e sentire protagonisti, dando loro risposte prima che se le cerchino da soli. Quando lo fanno, ormai è tardi. E le sanzioni non servono a nulla, forse acuiscono il fenomeno. Aumentano la ribellione».

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