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«Lavoravano per 30 ore»: le dipendenti vincono la causa

Abuso di orario supplementare e continue variazioni del contratto: la Corte d’appello di Firenze riconosce a tre lavoratrici il consolidamento delle 30 ore settimanali di lavoro
La sede di Unicoop Tirreno
La sede di Unicoop

GROSSETO. È servito un lungo processo legale perché tre lavoratrici ottenessero il consolidamento del loro rapporto di lavoro a 30 ore settimanali presso il punto vendita di una cooperativa della grande distribuzione. A darne notizia è Fisascat Cisl Grosseto, che commenta la sentenza emessa ieri, giovedì 21 marzo, dalla Corte di Appello di Firenze.
«La Corte di appello – dice l’avvocata Silvia Muratori – al termine di una lunga battaglia giudiziaria, che in primo grado ci aveva visto soccombenti, ha ribaltato la decisione del giudice del Tribunale di Grosseto e ha accertato e dichiarato il diritto delle tre lavoraci di Unicoop Tirreno a consolidare l’orario di lavoro. In particolare, in accoglimento delle istanze delle lavoratrici, la Corte di appello ha stabilito che l’individuazione del trattamento dovuto al lavoratore debba fondarsi sul criterio dell’effettività; ciò che risulta decisivo non è il contratto con cui è stato costituito il rapporto, quanto piuttosto il rapporto nella sua concreta attuazione».

Orario di lavoro più lungo di quello previsto

 «Le numerose variazioni apportate ai singoli contratti – spiega Simone Gobbi, segretario generale di Fisascat Cisl Grosseto – che avvenivano anche a cadenza mensile, hanno implicato per ogni ricorrente un’estensione oraria del lavoro, da part-time a 30 ore, anche nei mesi in cui contrattualmente era stato di contro previsto un orario ridotto; oltre ad estensioni temporali del rapporto anche ai mesi non coperti da contratto».

Inoltre, precisa Gobbi: «La cooperativa ha fatto ricorso alla strumento della “flessibilità” in maniera sistematica e prolungata». E proprio in applicazione di questa “flessibilità contrattuale”, le lavoratrici hanno svolto orario supplementare rispetto a quello previsto, per arrivare così a lavorare ogni settimana dell’anno con un orario molto più alto e comunque mai inferiore, salvo rare eccezioni, a 30 ore settimanali.
In sintesi, quindi, l’orario a tempo parziale previsto nel contratto per ognuna delle ricorrenti, nel corso del tempo e fino dall’inizio del rapporto di lavoro, ha subito continue modifiche che hanno implicato e tuttora implicano, nel concreto, lo svolgimento di un orario a tempo pieno.

L’uso del part time involontario 

Due delle ricorrenti avevano contratti iniziali di sole 20 ore settimanali, l’altra di 16. «E questo – dice Gobbi – evidenzia un problema diffuso nel settore del Gdo e del terziario, più in generale, che è quello del “part-time involontario”. Un fenomeno che sta diventando una vera piaga sociale, perché da un lato non garantisce un reddito dignitoso ai lavoratori e, dall’altro, limita drasticamente la possibilità di organizzare la propria vita. I lavoratori si trovano costretti a essere sempre disponibili per il lavoro supplementare, spesso senza poter pianificare in modo adeguato la propria vita personale e familiare. Questa situazione ha profonde ripercussioni sulla conciliazione tra vita e lavoro, creando tensioni e disagi significativi per i dipendenti e le loro famiglie».

Tutelati in tribunale i diritti dei lavoratori

«Siamo molto soddisfatti della decisione presa dalla Corte di appello – continua Gobbi – che ricorda l’importanza di tutelare i diritti dei lavoratori e garantire il rispetto dei contratti collettivi. Questa vittoria conferma che la giustizia prevale quando i diritti dei lavoratori vengono messi in discussione ed è quindi un risultato significativo, che ribadisce l’importanza della tutela legale dei lavoratori e della negoziazione collettiva».
«La sentenza della Corte di appello di Firenze – sottolinea Muratori – è un precedente fondamentale per la tutela dei diritti dei lavoratori e sottolinea l’importanza di rispettare le norme contrattuali e legislative che regolano il mondo del lavoro».

Il lavoro supplementare è un aspetto essenziale per le dinamiche aziendali, spesso necessario per gestire picchi di attività o situazioni straordinarie. «Tuttavia, è fondamentale – sottolinea Gobbi – che sia utilizzato in modo responsabile e in linea con quanto previsto dal contratto. Quando questo viene utilizzato in modo sistematico e abusivo, mettendo a repentaglio la stabilità occupazionale e reddituale dei dipendenti, è necessario intervenire con fermezza. Centinaia di lavoratori e lavoratrici si trovano in queste condizioni precarie, in attesa da anni di risposte chiare e concrete dall’azienda. Se il lavoro supplementare viene abusato a discapito della stabilità occupazionale, è giusto che sia riconosciuto e regolamentato attraverso vie giudiziarie. Dispiace dover ricorrere alle aule di tribunale, ma solo attraverso queste azioni potremo garantire un ambiente di lavoro equo e sostenibile per tutti».

 

 

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