La ronda notturna per gli emarginati. Un tuffo nelle emozioni, quelle umane | MaremmaOggi Skip to content

La ronda notturna per gli emarginati. Un tuffo nelle emozioni, quelle umane

Abitare la notte è il progetto della Caritas per aiutare gli emarginati e gli invisibili. Il giro fra giacigli improvvisati in città per portare un pasto caldo
Abitare la notte: Federico del Cisom e don Claudio parlano con un senzatetto

GROSSETO. L’appuntamento con don Claudio è al seminario, sede della Caritas. La sera preannuncia il suo arrivo, fa freddo, la città sta per presentare il suo volto notturno.

Finita una giornata di lavoro le case attendono i rientri per trascorrere insieme le ultime ore del giorno. Per altri, invece, inizia una notte di incontri con gli invisibili, quelli che non hanno quattro mura, un letto, figuriamoci un televisore, vivono ai margini. Per scelta o per i cazzotti, che il destino assegna a caso, stendendo al tappeto.

Una notte tra gli invisibili e i silenziosi

Una notte fatta di sguardi, poche parole, un grazie silenzioso, sorrisi spontanei. Notte di emozioni vere, un contatto con l’altra metà del cielo voluto spontaneamente, di slancio, senza il bisogno di sentire un grazie, perché i volontari non sono eroi, nemmeno paladini o angeli, non hanno volto, solo tanta volontà di alleviare sofferenze.

La preparazione della ronda inizia dalla cucina. «Stasera la cena è affidata a Marisa e Anna – spiega Claudio – il pentolone è pieno di pasta e ceci. Sul furgone abbiamo caricato tutto quello che serve per la cena. Inoltre ci sono coperte e indumenti. Qualcuno potrebbe averne bisogno».

Marisa e Anna in cucina alla Caritas preparano pasta e ceci
Marisa e Anna in cucina alla Caritas preparano pasta e ceci

L’equipaggio del mezzo è formato da un uomo e due donne, nessuno vuole dire il proprio nome, dicono che non è necessario, che sono persone qualunque che, dopo otto ore di lavoro, hanno il piacere di dedicarsi al prossimo, stasera è il loro turno.

Il furgone si muove, dietro segue la macchina con don Claudio e Federico, capo gruppo del Cisom (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta) una componente della rete di aiuto composta anche da Caritas, Associazione Isaia (protestanti), Ceis (Centro Italiano di Solidarietà), volontari. «Grazie a questa unione è possibile andare a visitare gli emarginati dove vivono, dove dormono» dice Federico con orgoglio.

Un mucchio di coperte

L’itinerario è fisso. «Conosciamo tutti, uno per uno, sono tunisini, marocchini, italiani, francesi – è don Claudio che parla – hanno dipendenze tossiche, problemi di alcolismo, tutti hanno necessità primarie, qualcuno rifiuta. Ci relazioniamo con loro senza fare domande sulla loro esistenza, senza chiedere i perché della loro condizione».

Il buio copre la città, poco traffico. Il furgone si ferma, si apre lo sportello posteriore, nel pentolone la pasta fuma, si riempie il piatto. Con in mano una bottiglietta d’acqua le tre figure si avvicinano a un mucchio di coperte da cui spuntano un viso di rughe, due occhi acquosi, mani insicure.

Dopo lo scambio dei saluti si chiede se servono coperte o indumenti, la risposta è negativa. Pochi minuti ma di una intensità umana talmente chiara e profonda, che l’emozione diventa reale. Ma non si avverte pietà, è semplicemente un aiuto, una carezza, un gesto fraterno. Si riparte. La prossima tappa rappresenta la raccolta di cibo invenduto nelle attività che hanno aderito. Il furgone si riempie.

Maremma: un esempio di solidarietà

«Grosseto è una città esemplare per solidarietà – raccontano Claudio e Federico – durante una raccolta di coperte è risultata prima a livello nazionale. Di questo siamo felici». Il giro prosegue, altri visi, altri occhi senza età, altre mani, nuove emotività. La pasta e ceci diminuisce a ogni fermata, la cena raggiunge gli invisibili. Don Claudio è sincero: «Sono un prete, ma anche un uomo normale – sospira – i giorni non sono tutti uguali, a volte avverto il peso di questa missione. Sono momenti, che supero di slancio, ma esistono».

A Federico e Claudio i progetti non mancano. «Pensiamo a un posto diurno di accoglienza, di affiancare un medico durante le ronde, a un corso d’operatore di strada. Tutti i volontari sono preparati per svolgere questa attività, tutti siamo assicurati».

Le ultime parole prima del riposo sono amare: «Sono pochi i giovani che si avvicinano alla solidarietà. Lo loro insensibilità è un nodo doloroso».

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