La picchia ma lei torna a cercarlo: condannato | MaremmaOggi Skip to content

La picchia ma lei torna a cercarlo: condannato

La donna ha chiamato più volte i carabinieri ma non è riuscita a stare lontano da lui: ora è in carcere. Dovrà scontare due anni e 8 mesi
Violenza sulle donne

GROSSETO. Un legame di dipendenza patologica. Fatto di botte, soprusi e denunce, di tentativi di allontanarsi e di passi indietro sulle decisioni prese. Una dipendenza così forte da mettere a repentaglio anche la propria libertà, da farsi portare in carcere piuttosto che rinunciare a stare insieme, litigare, minacciare. 

È una delle tante storie per le quali è stato attivato il Codice rosa per tentare di aiutare una donna che per mesi ha subito la violenza e i maltrattamenti del suo compagno, un quarantatreenne originario di Roma. Lui ora è in carcere, dov’è stato portato dai carabinieri alla fine di ottobre dopo che insieme alla sua compagna aveva litigato con un barista a Prato, al quale non volevano pagare due birre. Aveva l’obbligo di dimora a Roma ma era andato a trovare la ragazza dalla quale non riusciva a stare lontano.  

«Ti accoltello, faccio a pezzi tua figlia»

I due si sono conosciuti su Facebook alla fine di aprile dell’anno scorso. L’uomo viveva nel Lazio e la ragazza aveva deciso di raggiungerlo. Ma i problemi erano cominciati da subito: spesso, quando beveva e si stordiva con cocaina ed eroina, la maltrattava e la picchiava. Succedeva durante gli spostamenti della giovane nel Lazio e ancor di più quando i due si erano trasferiti insieme in un paese sull’Amiata. 

Il giudice Marco Mezzaluna

«Ti faccio rinchiudere in psichiatria, sei una madre di m….», le diceva. E ancora. «Ti faccio a pezzi, ti accoltello, faccio a pezzi tua figlia». Minacce di morte che le venivano ripetute spesso e che avevano portato la donna a chiudere anche i rapporti con i suoi familiari. 

C’erano poi le botte: spesso, quando litigavano, per una bottiglia di vino, per un’incomprensione, per il troppo alcol o la droga, l’uomo usava quello che si trovava per le mani per colpirla: un bastone appendiabiti, una gruccia. Alla fine di dicembre dell’anno scorso, esausta per i continui maltrattamenti, la donna se n’è andata da casa chiedendo ospitalità a un amico, che per due giorni l’ha fatta stare a casa dei suoi genitori. 

Denunciato dall’amico e dai genitori

La donna, da casa dell’amico, aveva però deciso di contattare di nuovo il compagno violento. Lo aveva cercato, utilizzando il telefono dell’uomo che l’aveva ospitata che, per tutta risposta aveva ricevuto un messaggio vocale di minacce. «Io appena ti prendo ti taglio, ti taglio, ti taglio. Appena ti prendo ti uccido, ricordatelo. Te imbocco dentro casa, ti brucio casa. A forza di coltellate ti stacco il naso». Minacce che hanno spinto l’uomo a denunciarlo e a costituirsi parte civile al processo. 

Anche i genitori della ragazza lo avevano denunciato, così come lei stessa. Che qualche volta però, dopo aver chiesto l’intervento dei carabinieri, ritirava la querela o nemmeno la presentava, spiegando di essere innamorata di quell’uomo e di non poter vivere senza di lui. 

Difeso dall’avvocata Amalia Capalbo, il 43enne è stato processato: il sostituto procuratore Federico Falco ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione. I reati contestati sono quelli di maltrattamenti e lesioni aggravate nei confronti della donna e di minacce aggravate nei confronti dell’uomo che l’aveva ospitata. 

L’avvocata del quarantatreenne ha chiesto l’assoluzione e la riqualificazione del reato di minacce in violenza privata. Il giudice Marco Mezzaluna lo ha condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, tenuto conto della riduzione di un terzo per la scelta del rito oltre al pagamento delle spese di costituzione di parte civile e a un risarcimento di duemila euro nei confronti dell’uomo. 

Riproduzione riservata ©

Condividi su

Articoli correlati