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Riccardo Bruni, il pioniere del self publishing

Lo scrittore orbetellano si racconta a Maremma oggi a una settimana dall’uscita del suo ultimo romanzo, “Chiusa nel buio”
Riccardo Bruni
Riccardo Bruni e la copertina del suo ultimo libro

SIENA. È uscito il 21 dicembre il romanzo “Chiusa nel buio”, l’ultima fatica di Riccardo Bruni, giornalista e scrittore affermato. Nel 2016 è stato candidato al prestigioso Premio Strega con “La notte delle falene” pubblicato su Amazon Publishing, ripubblicato dalla casa editrice La Nave di Teseo e tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e lituano.

Orbetellano, classe 1973, Bruni da anni vive a Siena con la moglie e il figlio ed è nella città del Palio che ha ambientato le tre storie di Leo Berni che lo hanno fatto apprezzare ancora di più al grande pubblico. Dal 2004, quando è uscito il suo primo libro, “La notte dell’iguana” ha pubblicato 11 romanzi e una raccolta di racconti, spaziando dal noir di fantascienza, ai gialli, ai romanzi storici, al mystery, al thriller. Su Amazon Publishing ha venduto oltre 200mila copie.

Dopo la trilogia di gialli che hanno per protagonista l’avvocato Berni, con “Chiusa nel buio” torna al thriller, ancora una volta pubblicato da Amazon Publishing, disponibile in formato cartaceo e digitale.

Un pioniere del self publishing

Domanda d’obbligo. Come è nata la passione per la scrittura?

«Credo sia nata con me, ce l’ho da sempre. Da bambino giocavo con una vecchia macchina da scrivere che i miei avevano in casa. Mi sedevo davanti al tavolo e mi immaginavo di essere uno scrittore alle prese con i suoi romanzi. Ho iniziato a scrivere racconti prima ancora di pensare di fare il giornalista. Poi negli anni Novanta ho deciso di mettere su un sito internet con un pc 486 e un modem che viaggiava a 56k. Pubblicavo in pdf i miei racconti, in modo che gli amici, i conoscenti e chiunque avesse voglia di leggerli li potesse scaricare gratuitamente».

Ed è stato il momento della svolta?

«Sì, ho cominciato a collaborare con riviste indipendenti, giornali locali e piccoli editori. Poi è arrivata la stagione delle autoproduzioni, che mi ha portato di nuovo nel mondo dell’editoria digitale, fino ad approdare ad Amazon Publishing. Quindi nel momento in cui si affermavano i libri digitali e il self-publishing ero, in un certo senso, già pronto».

I suoi romanzi spaziano dal noir, al thriller, al giallo. C’è un genere o uno scrittore di riferimento?

«Io leggo di tutto, autori di ogni genere e, per rispondere alla seconda parte della domanda, non c’è un solo scrittore a cui faccio riferimento, perché tutto ciò che leggo sedimenta e lascia qualcosa a cui attingere. Allo stesso modo è difficile stabilire se c’è un genere in cui mi riconosco più di ogni altro. Parlerei piuttosto di una commistione di generi, sottolineata da un registro linguistico che non è mai quello classico del giallo, del noir, del thriller. Mi piace anche contaminare linguaggi diversi come la scrittura e la musica. Nelle storie dell’avvocato Berni ad esempio, i Pink Floyd fanno da “colonna sonora” alla storia».

Leo Berni è il protagonista di una trilogia molto apprezzata. Quanto c’è di lei in questo personaggio?

«È il mio alter ego, vede le cose dal mio punto di vista, guarda il mondo come lo guardo io, ascolta la musica che io amo, è irrisolto come me, ma si differenzia nel modo in cui affronta la sua sofferenza. È scapestrato, ha una vita incasinata e cattive abitudini, beve caffè solubile, è pieno di difetti e di conflitti, ma è questo che lo rende simpatico».

Il romanzo della pandemia

La storia di “Chiusa nel buio” si svolge durante il lockdown, a Siena, in una strada appena fuori città. Giulia, la protagonista è chiusa in casa prima ancora dell’arrivo del virus, a causa di una gravidanza a rischio. Vive in un casale ipertecnologico insieme al compagno, Andrea.

Le sue giornate sono scandite tra televisione e lunghe telefonate con Edo, un suo vecchio amico. Nella casa di fronte vive Teresa, una studentessa universitaria. Giulia la osserva da dietro la tenda. Finché un giorno la ragazza le comunica l’intenzione di partire insieme a un’altra persona per tornare a casa dei genitori.

Un scrittore che è anche giornalista poteva prescindere dalla pandemia?

«Ci ho pensato a lungo. Potevo scegliere un tempo prima del 2020, per ambientare la storia, oppure far finta che la pandemia non ci fosse mai stata. Ma alla fine ho deciso di inserire la vicenda in questo contesto, pur senza riferimenti diretti alla cronaca di quanto accaduto nel 2020. Del resto, quando si scrivono storie ci si guarda intorno e quello che vediamo entra nel racconto. E questo romanzo è nato proprio nei mesi del primo lockdown, durante i quali, come tanti altri, mi sono messo a sfornare pizze, partecipare a video apertivi, osservare atterrito i dati dei giornali, ma soprattutto non ho mai smesso di scrivere».

Quali sono gli aspetti legati alla pandemia che fanno parte del romanzo?

«Il senso di isolamento, la perdita di legami e di empatia, un certo scollamento nella percezione del tempo e l’urgenza di riempire i vuoti che si aprono all’improvviso. Ognuno di noi si è dovuto spogliare delle abitudini che hanno contribuito a formare la personalità e siamo rimasti nudi di fronte a noi stessi come davanti a uno specchio. E non è detto che quello che vediamo ci piaccia.  Abbiamo cullato l’illusione che chiudendosi in casa fossimo al sicuro, per scoprire alla fine che non è così. Sono tutte cose con le quali abbiamo dovuto fare i conti e ancora ce li stiamo facendo. È in questo modo che sono entrate nella mia storia».

La protagonista viveva già chiusa in casa per la sua gravidanza. Cosa cambia per lei con il lockdown?

«Giulia vive senza contatti da tempo e apparentemente la sua vita non sembra cambiare, ma cambia per tutti gli altri. Per Andrea, Edoardo e Teresa, il personaggio chiave della storia. Teresa che con le sue abitudini finisce per scandire le giornate di Giulia. Così quando scompare, Giulia perde  il suo punto di riferimento e qui inizia la storia…».

 

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