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Diffamato su Facebook, Ape parla in aula

Michele Rossi era stato il destinatario di alcune frasi ritenute offensive sui social: «Pago l’assicurazione e le roulotte mi servivano per lavorare»
Alcune vecchie auto di Ape
Alcune delle vecchie auto parcheggiate in via Giordania

GROSSETO. Non c’è bisogno di presentare ai grossetani Ape, al secolo Michele Rossi. Perché le sue auto d’epoca parcheggiate fino a qualche anno fa sul viale Sonnino e da qualche tempo spostate in via Giordania le hanno viste tutti.  Ed è proprio per una delle sue tante proteste per ottenere una casa, che questa mattina, lunedì 8 novembre, Rossi ha parlato nell’aula d’assise del tribunale di Grosseto, davanti al giudice Marco Bilisari, (vice procuratrice onoraria Pamela Di Guglielmo). Non come imputato, ma come parte offesa in un processo per diffamazione a carico di 4 grossetani, denunciati da Ape per averlo offeso su Facebook.

Quattro imputati a processo

Assistiti dagli avvocati Francesca Carnicelli, Alberto Vannetti e Massimiliano Arcioni, i quattro grossetani sono stati chiamati in causa per aver commentano un articolo sulla clamorosa protesta che Ape mise in atto il 26 novembre 2019, quando si incatenò sotto al Comune per chiedere che gli fosse assegnata una casa popolare. «Non ha mai lavorato un giorno in vita sua, ha sempre vissuto alle spalle della società», aveva scritto uno degli imputati, «L’utilizzo che farebbe del terreno che gli è stato assegnato è pari a una discarica a cielo aperto… ha delle licenze per fare quello che fa?», gli aveva fatto eco un altro. E ancora: «Ma lo sapete per quanti anni questa persona ha noleggiato mezzi a nero? Non ha mai pagato nemmeno un euro e ha sempre fatto quello che gli pareva». E poi: «Trattava male chi si avvicinava al suo gabbiotto abusivo». «Nel tempo ne ha combinate di tutti i colori».

Commenti che furono scritti come commenti di un articolo pubblicato da una testata online, per i quali sono finiti a processo Diego Nocciolini, grossetano di 31 anni, Alessio Arezzini, 65 anni, Gerardo Scarano, 47 anni e Luca Riverdora, 33 anni.

Assistito dall’avvocato Filippo Maria Bougleaux, Ape ha risposto in aula. «Quei commenti mi sono stati segnalati qualche giorno dopo rispetto a quando sono stati scritti – ha spiegato al giudice Bilisari – Sono lesivi nei miei confronti perché non sono veri».

Incatenato sotto al Comune

Ape ha ripercorso le tappe della sua vicenda, da quando il Comune di Grosseto gli aveva dato la residenza sul marciapiedi di viale Sonnino dove appunto si affacciava il “gabbiotto” che altro non era che l’officina di suo padre. «Il gabbiotto non era abusivo, era un’officina – ha spiegato – e le auto d’epoca sono sempre state assicurate. Pago un’assicurazione complessiva, per tutte, di 1.200 euro all’anno».

Michele Rossi, il 26 novembre 2019 si incatenò sotto al Comune di Grosseto, per chiedere una casa dove poter vivere, dopo essere stato trasferito in via Giordania. E dopo che gli era stata notificata l’ordinanza di sgombero, contro la quale si è appellato – inutilmente – al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.  «Le auto d’epoca furono portate lì nel campo rom con il carroattrezzi del Coeso – ha detto in aula – ma poi il Comune emise un’ordinanza e mi portarono via le roulotte, quelle che accomodavo io e quelle dove tenevo i vestiti e gli attrezzi per lavorare. Però le soluzioni che mi avevano prospettate non andavano bene».  Una casa alla Scagliata, un terreno sotto la rampa di ingresso all’Aurelia a Grosseto nord. «Vivevo con un sussidio del Coeso che poi mi hanno sospeso – ha specificato – e quando faccio i lavori sulle roulotte o sulle auto d’epoca, pago come tutti: uso il codice fiscale, che funziona fino a un certo importo come la partita Iva».

Dopo la deposizione di Ape, parte offesa al processo, l’udienza è stata aggiornata al prossimo maggio, per sentire altri testimoni.

 

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