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1938-2023: viaggio nella memoria con Elena Servi

Oggi si celebra la giornata della Memoria. Nelle parole della testimone della persecuzione degli ebrei, risuona il terrore e la paura di un periodo vissuto scappando dall’odio dell’uomo: un monito per le generazioni future
Elena Servi
Elena Servi

PITIGLIANO. Una macchia non candeggiabile. Trattabile solo con una buona dose di memoria. È per questo che il 27 gennaio vengono ricordate le vittime dell’Olocausto. Una giornata, quella dedicata alla memoria, espressamente voluta dall’assemblea generale Onu nel 2005.

Nazisti e fascisti, arrivati al potere, furono i principali responsabili dello sterminio di tutte quelle persone ritenute “inferiori”. Uno sterminio che fu portato avanti in Germania in Italia, ma anche nei territori sottomessi dai dittatori europei Mussolini e Hitler. Tra le persone più perseguitate ci furono quelle di credo ebraico.

Nell’Italia fascista che iniziò ad applicare le prime leggi razziali nel 1938 viveva anche Elena Servi, all’epoca aveva 8 anni. Oggi guida “La piccola Gerusalemme” a Pitigliano. Un’associazione culturale che gestisce l’omonimo museo. Un faro culturale e nuova linfa per una comunità ebraica che dopo il secondo dopoguerra aveva perso i suoi punti di riferimento nel paese maremmano.

«Non potrai più andare a scuola con gli altri»

«Nel 1938 io e la mia famiglia rimanemmo a Pitigliano – racconta Elena – mio babbo Livio era molto conosciuto col suo negozio di stoffe, ma alcuni iniziarono a fuggire. Come prima conseguenza delle leggi razziali, molti furono estromessi da altrettanti ruoli. Come l’ingegnere che progettò il municipio: perse lavoro e andò via. Il direttore della banca, uguale. Le persone fuggivano a Roma o a Firenze, ovunque ci fosse un riparo. Rimase chi aveva un lavoro indipendente, non senza disagi ovviamente».

«A Pitigliano i gerarchi fascisti si impegnarono a renderci la vita amara – ricorda – Ci allontanarono dalle amicizie, dal saluto delle persone. Si impegnarono a “suggerire” ai contadini clienti di mio babbo di non frequentare più il nostro negozio».

Le leggi razziali imponevano che i bambini di “razza ebraica” non potessero frequentare le scuole  con i loro amici. «Mio babbo tornò a casa e mi disse che non potevo più andare a scuola con gli altri – ricorda – chiesi il perché, dissi che non avevo fatto niente. Con le lacrime agli occhi lui mi rispose che sì, non avevo fatto niente ma non potevo comunque andare a scuola con gli altri bambini della mia età».

Grande amarezza, ma anche tanto affetto

«Ero una bambina spensierata, allegra – racconta – le mie giornate cambiarono improvvisamente. Avevo più amiche cattoliche che ebree e fortunatamente i loro genitori furono coscienti e intelligenti. Anche se gli veniva detto di non far giocare le loro figlie con le bambine ebree, non si piegarono. Ricordo quel periodo con molta amarezza, ma non dimentico neanche le grandi manifestazioni di affetto».

Elena non potette frequentare la terza elementare, continuò gli studi privatamente. Un percorso che non gli evitò comunque di avere riportato nei documenti la dicitura, ben visibile, “di razza ebraica”.

Una veduta di Pitigliano
Una veduta di Pitigliano @maremmaoggi

Come la storia insegna, la guerra e l’intento di portare a compimento il disegno delle leggi raziali inasprirono le persecuzioni nei confronti degli ebrei. Nel 1943 rimanere a Pitigliano divenne un vero e proprio rischio. Così Livio, veterano della Prima guerra mondiale con tanto di croce al merito, dopo le prime razzie nazifasciste decise di fuggire insieme alla famiglia.

La fuga da Pitigliano e il ritorno partendo da zero

«Trovammo accoglienza da alcune famiglie di contadini, mio padre era molto conosciuto col suo negozio e aveva tanti clienti tra le campagne – ricorda – si dimostrarono generosi e coraggiosi. Da Pitigliano attraversammo vari comuni, anche Farneta e Valentano. Dal novembre del 43 fino alla liberazione girammo molti poderi, come la fattoria di Mezzano. Fummo accolti dal fattore e dalla sua famiglia, fuggivamo quando era necessario non farci trovare. Nell’ultimo periodo abitammo in una grotta – specifica – sempre aiutati da chi ci aveva dato disponibilità. Furono sette mesi di paura e disagi terribili».

La famiglia Servi tornò a Pitigliano a guerra finita. Furono una delle poche a fare ritorno in paese. Altre si stabilirono dove avevano trovato inizialmente rifugio.

La loro casa era stata demolita e dovettero ripartire da zero. Livio, forse anche per via del terrore vissuto negli anni precedenti, morirà qualche anno più tardi. Elena, continuerà a studiare divenendo una maestra. Portando il suo mestiere anche in quella scuola dalla quale fu bandita da piccola.

Nelle sue parole quei giorni sono ancora vivi, così come la prepotenza di quel male che ha cercato di arginare con tutte le sue forze. La memoria di Elena risuona oggi in molte scuole, ed è soddisfatta della risposta dei bambini e dei ragazzi che la ascoltano. Proprio oggi, 27 gennaio, Elena Servi interverrà al teatro di Pitigliano poco dopo le 10.30 in un evento dedicato agli studenti di terza media e ad alcuni ragazzi delle superiori.

«Ora è un po’ che non mi collego via Internet con alcune classi – conclude Elena – ma quando riesco a farlo, con tablet e telefono, i riscontri sono ottimi, gli insegnanti sempre preparati e gli alunni altrettanto. Mi auguro che la Giornata della Memoria non rimanga solo una ricorrenza nelle menti di tutti, ma un impegno concreto per il futuro».

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