GROSSETO. Con il definitivo voto del Senato, la riforma che introduce la separazione delle carriere in magistratura ha visto finire il primo iter legislativo. Ora servirà il passaggio decisivo per cambiare la carta: il referendum confermativo. Probabilmente una data probabile sarà fra marzo o aprile del prossimo anno.
Il referendum confermativo sulla riforma costituzionale della giustizia non si svolgerà più in un solo giorno, come avvenuto finora in Italia, ma in due giornate di voto consecutive. Lo ha stabilito il Consiglio dei ministri, che ha approvato un decreto-legge con cui ha deciso che tutte le elezioni del 2026 si terranno di domenica e lunedì.
I seggi saranno aperti:
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domenica dalle 7 alle 23
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lunedì dalle 7 alle 15
Secondo quanto spiegato in una nota ufficiale, la misura serve a «facilitare l’esercizio del diritto di voto, ridurre il rischio di affollamenti presso i seggi e garantire un tempo congruo per l’afflusso degli elettori». Il decreto disciplina anche l’accorpamento delle consultazioni (election day), con l’obiettivo di ridurre i costi e limitare i disagi per le scuole sedi di seggio.
La riforma della giustizia e il referendum confermativo
La riforma costituzionale della giustizia è stata proposta dalla maggioranza di centrodestra e introduce, tra i punti principali, la separazione delle carriere dei magistrati. Il parlamento l’ha approvata lo scorso 30 ottobre, ma senza raggiungere la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
Proprio per questo, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione, la riforma non è entrata automaticamente in vigore ed è stata richiesta la consultazione popolare attraverso un referendum confermativo.
Niente quorum: basterà la maggioranza dei voti validi
Essendo un referendum costituzionale, non è previsto il quorum. Non sarà quindi necessario che voti la metà più uno degli aventi diritto: la riforma sarà confermata se prevarranno i “sì” tra i voti validamente espressi.
È una differenza sostanziale rispetto ai referendum abrogativi, che invece richiedono una partecipazione minima del 50% degli elettori.
Le date possibili: ipotesi marzo o aprile
La data del voto non è stata ancora fissata. È probabile che il governo la indichi in un prossimo Consiglio dei ministri, dopo di che toccherà al presidente della Repubblica indire formalmente il referendum con decreto.
La legge stabilisce che la consultazione debba tenersi tra il 50° e il 70° giorno successivo al decreto. Al momento, l’ipotesi più accreditata è quella del 29 e 30 marzo, ma non si esclude uno slittamento ad aprile.
Raccolta firme: tre mesi di tempo
Intanto i capigruppo della maggioranza a palazzo Madama hanno avviato la raccolta firme necessarie per la richiesta del referendum confermativo, mentre alcune televisioni premono per un confronto televisivo fra il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Cesare Parodi con quest’ultimo che pare aver già accettato l’invito.
Il referendum confermativo
L’articolo 138 della Costituzione prevede che il referendum confermativo è uno strumento di democrazia diretta, che viene indetto su leggi di revisione della Costituzione o altre leggi costituzionali. In caso di approvazione in Parlamento a maggioranza, entro tre mesi può essere richiesto il voto da un quinto dei membri di una Camera, 500 mila elettori o 5 Consigli regionali. La Costituzione definisce infatti i paletti per lo svolgimento del referendum: può tenersi solo se, alla seconda votazione, una legge di revisione costituzionale (o altra legge costituzionale) non è stata approvata con una maggioranza dei due terzi dei componenti in ciascuna Camera. Il 18 settembre scorso, l’Aula di Montecitorio ha dato disco verde al provvedimento, in seconda lettura, con 243 sì su 400. Mentre al Senato i voti favorevoli sono stati 112, anche in questo caso al di sotto della soglia dei due terzi.
Secondo quanto stabilito dalla legge sul referendum (numero 352 del 1970), dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale scattano i tre mesi di tempo entro i quali raccogliere le firme necessarie per richiedere la consultazione tra gli elettori o tra i parlamentari. Dopo la riforma del 2020 che ha dimezzato il numero dei membri di entrambe le Camere, ad oggi servono le firme di almeno 80 deputati (su 400) oppure di 41 senatori (su 205).
Le firme in Cassazione poi il decreto
Dopo la consegna delle firme in Cassazione, la Suprema Corte ha 30 giorni di tempo per dare il via libera definitivo al referendum che deve essere comunicato al governo e ai presidenti delle Camere. Spetta in ogni caso al Presidente della Repubblica, su indicazione del Consiglio dei Ministri, indire la consultazione che deve tenersi tra il 50° e il 70esimo giorno successivo al decreto di indizione.
Le indicazioni di voto: centrodestra e Azione per il sì
La maggioranza ovviamente con Fdi, Lega, Fi e Noi Moderati è per il “si”. ”
Il campo largo e Anm per il no
Nell’opposizione prevalgono le posizioni che puntano alla cancellazione della riforma, dal Pd a Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. Tra i Dem tuttavia singoli esponenti si sono detti favorevoli, dal presidente della Campania Vincenzo De Luca a Gianfranco Bettini ed Enrico Morando. Matteo Renzi, leader di Italia Viva, ha già dato indicazione di libertà di voto. In un possibile comitato per il no potrebbe entrare anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) che più volte ha criticato la riforma Nordio.
I precedenti, l’ultimo referendum confermativo nel 2020
Nel 2026 potrebbe dunque tenersi il referendum confermativo sulla riforma della giustizia, quinta consultazione su una legge costituzionale. Nell’autunno del 2001 gli italiani approvarono la riforma del Titolo V promossa dal centrosinistra che nel frattempo era tornato all’opposizione. Nel giugno 2006, due mesi dopo le elezioni politiche, il referendum sulla “devolution” promossa dal centrodestra venne respinta con il 61% dei voti. Il 4 dicembre 2016 il referendum confermativo ha riguardato la riforma costituzionale sul superamento del bicameralismo paritario promossa dall’allora governo Renzi: anche in questo caso vinsero i “no” con il 59%. L’ultimo referendum di questo tipo ha avuto luogo il 20 settembre 2020 sul taglio dei parlamentari approvato bipartisan.