VENTURINA. Ci sono casi che non smettono di interrogare. Anche quando arriva una sentenza, resta il buio che ha preceduto l’ultimo respiro, l’istante in cui una vita smette di essere. La storia di Maria Campai, 42 anni, si è fermata il 24 settembre 2024, in un garage trasformato in una palestra improvvisata, a Viadana.
Oggi quel ragazzo che l’aveva incontrata su un sito, l’aveva fatta entrare lì e poi uccisa con una violenza che supera il vocabolario dell’orrore, è stato condannato a 15 anni e 8 mesi. All’epoca aveva 17 anni. Minorenne, ma già capace di una brutalità adulta.
Il delitto: l’incontro, l’aggressione, la fuga
La ricostruzione degli investigatori è una cronaca asciutta, quasi chirurgica: un incontro sessuale a pagamento, poi l’esplosione della violenza.
Una mossa di wrestling per bloccare il collo della donna, lo strangolamento, i colpi al volto e al torace. Dopo l’aggressione, il corpo trascinato fuori dal garage, fino a una villa abbandonata. Foglie, arbusti, un tentativo inutile di nascondere l’indicibile.
Per sette giorni nessuno l’ha trovata. Sette giorni in cui lui ha continuato a vivere come se nulla fosse: scuola, allenamenti, la routine quotidiana.
Le ricerche online, la frase che ha segnato il processo
Agli inquirenti il ragazzo aveva detto: «Volevo scoprire cosa si prova». Una frase che pesa come un macigno sull’intero fascicolo.
Negli archivi digitali del giovane sono state trovate ricerche su come uccidere una persona, su pratiche sessuali estreme, su fantasie che anticipavano la tragedia. Una premeditazione confusa, ma evidente.
Chi era Maria: una vita ricostruita in Toscana, i figli, la separazione civile
Per capire il vuoto che resta, bisogna tornare in Val di Cornia. Maria Campai – nata in Romania, ma da più di vent’anni adottata dalla Toscana – aveva vissuto a lungo tra Venturina e Piombino. Qui aveva cresciuto i suoi due figli, oggi 24 e 21 anni, entrambi impegnati nella ristorazione: un aiuto-cuoco e un cameriere.
Il marito, Gabriele, ricorda una separazione non ostile, il tentativo di mantenere un legame adulto, maturo, per il bene dei ragazzi.
Per un periodo, tra il 2017 e il 2020, Maria aveva vissuto a Parma dalla sorella, poi era tornata a muoversi tra Toscana e Nord Italia in cerca di nuove opportunità.
L’autopsia: la violenza senza attenuanti
Gli esami medico-legali hanno confermato ciò che già si intuiva: la morte non è stata un incidente, né un gesto improvviso.
Strangolamento, poi una serie di colpi alla testa e al torace. Una sequenza di violenza che non lascia spazi a dubbi o giustificazioni. Una volontà precisa.
La sentenza: un frammento di giustizia, non una consolazione
Il tribunale per i minorenni ha deciso: 15 anni e 8 mesi. Un tempo che è una formula, non una restituzione.
Per i figli, per l’ex marito, per la comunità che l’aveva conosciuta in Toscana, resta il vuoto di una donna che aveva attraversato l’Europa per costruire un futuro diverso. Un futuro che si è infranto in un garage, tra attrezzi da palestra e un ragazzo che giocava alla vita e alla morte come se fossero materiali intercambiabili.
Una sentenza chiude un processo. Ma non chiude una storia.