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Nuovo processo per Schettino? «Con quale coraggio»

A 10 anni dal naufragio della Costa Concordia parla l’ex procuratore capo di Grosseto Francesco Verusio: «Non si è mai assunto la responsabilità di quelle 32 morti»
Costa Concordia www.maremmaoggi.net
La Concordia a punta Gabbianara e il faro rosso del Giglio

GROSSETO. C’è un prima e c’è un dopo. Proprio come è successo quando il mondo si è svegliato dopo la strage dell’11 settembre. Ciascuno di noi ricorda perfettamente dove fosse nel momento in cui i due aerei si sono schiantati sulle Twin towers. Lo stesso è successo quando è naufragata la Concordia. In Maremma, il ricordo di quella tragedia, delle 32 vittime, delle centinaia di feriti e delle migliaia di naufraghi, della fuga di Schettino, è ancora viva nella memoria di chi la sera del 13 gennaio non poteva immaginare di trovarsi di fronte a un evento del genere.

Il grande accusatore del comandante

Francesco Verusio, ex procuratore capo di Grosseto, non fa eccezione. Oggi vive a Roma, è in pensione. Ma per lui, questi 10 anni, sembrano non essere mai passati. «Era un venerdì, il 13 gennaio – ricorda – e come ogni venerdì ero tornato a Roma, dalla mia famiglia. Per tutta la settimana vivevo solo a Grosseto, ma durante il fine settimana tornavo a casa. Ero già in pigiama quando mi telefonò il comandante dei carabinieri: gli dissi che c’era il procuratore di turno. Ma mi spiegò subito che la situazione era gravissima. Così mi rimisi un abito e salii di nuovo in auto per tornare a Grosseto».

Verusio fu raggiunto da una pattuglia dei carabinieri a Capalbio e da lì fu accompagnato a Orbetello. «Mi vennero a prendere con un elicottero – dice – e mi portarono al Giglio. Il ricordo e l’emozione che ho provato quando mi sono trovato sotto agli occhi la nave è ancora oggi indescrivibile».

La Concordia (foto Francesca Gori)
La Concordia (foto Francesca Gori)

Che il lavoro che c’era da fare sarebbe stato immenso, il procuratore capo di Grosseto lo capì subito. «Quella di Grosseto era una piccola Procura – ricorda – certamente non attrezzata per fronteggiare un’indagine così complessa. È stato solo grazie alla capacità del pool di magistrati che ha lavorato sul naufragio e al senso del dovere e alla bravura dei colleghi che si sono occupati di tutti gli altri casi, che abbiamo raggiunto il risultato».

Maria Navarro, attualmente procuratore capo della Repubblica di Grosseto, Alessandro Leopizzi e Stefano Pizza: sono stati loro i magistrati che hanno coordinato le indagini che hanno poi portato alla condanna del comandante di Meta di Sorrento (Napoli) Francesco Schettino, che oggi, dal carcere di Rebibbia, chiede un nuovo processo.

Francesco Verusio con il colonnello Filippo Viola
Francesco Verusio con il colonnello Filippo Viola

«Ho letto che gli avvocati di Schettino hanno presentato istanza di revisione – dice – Non riesco a farmene una ragione. A distanza di 10 anni ancora, il comandante non vuole assumersi la responsabilità di quelle 32 morti. Morti che tra  l’altro, l’ho detto e l’ho ribadito altre volte, potevano essere evitate».

Dieci anni di dolore immutabile

Davanti agli occhi di Verusio continuano a scorrere le immagini di quella tragedia. Grazie al lavoro della Procura, che al termine del processo aveva chiesto una condanna a 26 anni, il verdetto a 16 anni del tribunale di Grosseto ha retto fino in Cassazione. «Mi ricordo come se fossi ora l’udienza per l’incidente probatorio – racconta il magistrato – Si alzò un avvocato e gridò: “Questo processo non lo farete mai”. Le cose non sono andate così ed è successo grazie al grandissimo lavoro fatto dal pool di magistrati che hanno coordinato le indagini. Ci siamo dovuti avvalere di tanti consulenti, abbiamo dovuto imparare cose nuove. In Procura fino ad allora ci eravamo occupati di rapine, omicidi, spaccio. Mai di un naufragio, soprattutto di questa portata».

LogoLEGGI ANCHE: Concordia, il ricordo a 10 anni dalla strage

Il lavoro dei magistrati è stato enorme. Il risultato però è sotto agli occhi di tutti. «Sì, è vero – dice Verusio – l’impianto accusatorio era ben formulato, lo ha confermato anche la Cassazione. Schettino ha scelto di farsi giudicare con il rito ordinario perché non voleva assumersi la responsabilità di quello che aveva fatto. Eppure, subito dopo l’impatto con lo scoglio delle Scole, avrebbe avuto la possibilità di portare in salvo anche le persone che ora non ci sono più». Se il comandante fosse rimasto a bordo e se avesse chiamato l’emergenza generale, mettendo in acqua le scialuppe subito, probabilmente quello della Concordia sarebbe stato un naufragio senza vittime e Schettino poteva oggi essere l’eroe che aveva salvato più di 4mila persone.

«Invece continua, a distanza di 10 anni – aggiunge l’ex procuratore capo di Grosseto – a comportarsi come se fosse una vittima, a dire che noi abbiamo cercato e trovato soltanto un capro espiatorio. Non è stato così: ci sono state altre condanne. Schettino quella sera sulla Concordia ha perso la testa e ha pensato soltanto a salvare se stesso. Dopo un anno e mezzo di processo e tutte le spese che abbiamo dovuto sostenere, anche soltanto per affittare un teatro dove celebrarlo, dopo aver messo in difficoltà una procura e dopo aver paralizzato una città ma soprattutto dopo aver causato la morte di 32 persone e il ferimento di altre 150, Schettino dovrebbe arrendersi e assumersi la responsabilità di quello che ha fatto. Se davvero come dice ha in mano altre prove, le può esibire ma non credo che ci sia qualcosa che possa cambiare l’esito del processo».

 

 

 

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