GROSSETO. Un viaggio che fa luce dove normalmente non arriva. Le carceri grossetane sono piccole, in via Saffi ospitano 27 detenuti. 27 persone chiuse in una struttura di vecchia concezione, buia, ma che rispetto ad altre è un fiore all’occhiello del sistema detentivo toscano e italiano.
La visita nel carcere della città fatta dall’associazione “Nessuno tocchi Caino” e della Camera penale di Grosseto ha evidenziato criticità e punti di forza dela struttura. A segnare ogni passo della visita rimane il faro dell’esperienza che Francesca Scopelliti ha vissuto tramite le lettere inviatele dal suo compagno, Enzo Tortora. Confluite nel libro “Enzo Tortora – Lettere a Francesca” rimangono una importante testimonianza diretta. Una lezione civica che apre una finestra sulla realtà carceraria italiana, oltre che sulla storia di un innocente ingiustamente imprigionato.
L’avvocato Massimiliano Arcioni, presidente della Camera penale di Grosseto, inizia a raccontare della visita del carcere per primo, poco dopo la sua conclusione. «Per quanto mi riguarda la struttura rimane vetusta – precisa – nonostante gli ammodernamenti. Lo spazio esterno rimane esiguo per i detenuti e la struttura, come tutte le strutture vecchie, è gestita con fatica, sempre cercando la sua migliore funzionalità».

«Anche la volumetria minima per detenuto non è rispettata – fa notare Arcioni – Ci è però sembrato pregevole lo sforzo del personale (sottodimensionato) che opera a contatto con i detenuti».
Lo yoga contro il buio
Dello stesso parere anche Rita Bernardini (Nessuno tocchi Caino) che con gli altri dirigenti dell’associazione, Sergio d’Elia ed Elisabetta Zamparutti hanno potuto vedere in questi giorni anche le altre realtà carcerarie della regione. «Oggi (28 aprile) abbiamo concluso il viaggio nelle carceri della Toscana – dice Bernardini – è un piacere ritrovare Francesca Scopelliti con la quale abbiamo condiviso l’esperienza della battaglia di Enzo Tortora, una storia che rende questo giorno per me ulteriormente emozionante».
«Per noi la visita di oggi è stata quasi “rilassante” rispetto ad altre realtà – dice Bernardini – Nel carcere ci sono 27 detenuti, si tratta di una struttura piccola, di metà del 1800. Nelle stanze di detenzione abbiamo visto addirittura tre strati di sbarre alle finestre, mai viste in altre realtà. Oltre alle sbarre c’è anche una rete che impediscono ad aria e luce di entrare. Le celle sono molto buie».
«In violazione del regolamento e dell’ordinamento penitenziario – precisa Bernardini – Non ci sono docce nelle celle. C’è anche da dire che i detenuti però hanno le stanze aperte tutto il giorno. Sono molto ben seguiti dall’educatrice Eleonora d’Amico e anche l’ispettore Francesco Sanzone è stimato dai detenuti e i loro problemi hanno la garanzia di essere ascoltati».

Per l’associazione rimane fondamentale anche il futuro che attende le persone dopo il periodo trascorso in carcere. «Un detenuto sardo si è raccontato – racconta Bernardini – finirà di scontare la pena nel 2025. È un articolo 22 che lavora in una panetteria. L’azienda vuole assumerlo una volta scontata la pena».
«Un percorso che dovrebbe fare ogni detenuto – conclude Bernardini – in carcere vengono anche portate avanti lezioni di yoga, a supporto soprattutto di vittime della tossicodipendenza. Così viene evitato l’utilizzo di farmaci. Mi auguro che anche la prossima sede del carcere prenda in considerazione la qualità della vita dei detenuti».
«Grosseto un esempio per la Toscana»
A vantaggio della qualità della vita nel carcere di Grosseto vanno anche i numeri, la struttura si distingue comunque dalle altre nel resto della regione. «In tutta la Toscana praticamente tutte le carceri da un punto di vista strutturale presentano criticità – dice l’avvocato Gabriele Terranova dell’osservatorio Carcere Ucpi – A Grosseto come in altre piccole realtà di Arezzo, Siena e Pistoia la qualità della vita dei detenuti del personale è migliore. I maxi-istituti con 500 detenuti, spesso visti come soluzioni, portano a un livello di umanità neanche lontanamente avvicinabile a quelli che ne hanno 70-80».
L’isola che non c’è
Francesca Scopelliti racconta del carcere come quell’isola che non c’è. «Nella politica se ne parla ma non si fa niente – dice Scopelliti – Si lamentano le mancanze di fondi in molti settori, e per il carcere si fa ancora ben poco. Non è la prima vota che entro nel carcere d Grosseto e rimango sempre stupita per la sua affascinante bruttezza».
«Il carcere lo vivo sempre attraverso le parole che scriveva Enzo nelle lettere – ricorda – Una volta come regalo gli mandai un accappatoio. Lui disse che era troppo bello, non sapeva cosa farci. Risposi che doveva utilizzarlo per la doccia la mattina. Mi disse che non avevo capito niente. Disse che la doccia in carcere la facevano una volta alla settimana e se l’acqua calda fosse finita, sarebbe stata anche rimandata».
«Qui a Grosseto la doccia è sempre aperta, quando vogliono i detenuti possono andare a lavarsi – sottolinea Scopelliti – Si tratta di un piccolo contributo alla dignità umana. I rapporti tra detenuti e polizia sono ottimi come anche la pulizia dei locali. Si tratta di piccole cose ma rendono vivibile una struttura che difficilmente lo sarebbe. Spero si sblocchi presto il trasferimento verso le nuove strutture. Lì l’ambiente sarebbe più civile, moderno e rispettoso».
L’importanza di reinserirsi nel tessuto sociale
L’avvocato Alessandro De Carolis, presente anche lui all’incontro, è rimasto colpito dal rapporto tra detenuti, educatori e polizia. «Credo che anche questo serva a recuperare le persone – dice De Carolis – Parlando con i detenuti mi è sembrato che abbiano consapevolezza dell’errore che hanno commesso. Assieme alla consapevolezza hanno anche la volontà di riscattarsi. Recuperare chi ha sbagliato è nell’interesse della società intera».
Durante la visita, a colpire invece l’avvocato Romano Lombardi, segretario della Camera penale di Grosseto, sono state soprattutto le lezioni di yoga. «Oggi abbiamo avuto un’opportunità rara – dice Lombardi – vedere le effettive condizioni di vita nel carcere non è un’esperienza comune. Mi ha colpito molto la lezione di yoga – specifica – Qualcuno forse la interpreterà come un ulteriore beneficio a vantaggio dei detenuti. Ma quando una seduta di yoga sostituisce un farmaco nella terapia per il sonno, questo rappresenta un vero passo avanti».

La visita è stata un vero viaggio di arricchimento per Michele Bottoni, giovane iscritto ai Radicali italiani. «Per me è stata una doppia emozione – dice Bottoni – Entrare in carcere mi dà sempre quella sensazione di solitudine che comunque sottolinea un’esperienza unica nel suo genere. Averla fatta con persone di cui ho spesso letto saggi e libri, è stata un’ulteriore emozione».
L’avvocata Tania Amarugi, nelle conclusioni dell’incontro, oltre ringraziare la Camere penale e Nessuno tocchi Caino, ha sottolineato quanto sia importante l’impegno sul territorio. «Come avvocato che esercita a Grosseto in materia penalista ne sapevo ben poco sul carcere – dice Amarugi – Oggi l’ho scoperto. Forse ci sarebbe stato bisogno di più tempo ma quello a disposizione è bastato a capire quando poco si sia fatto finora e quanta poca umanità in generale ci sia nelle carceri, anche se Grosseto sembra distinguersi. C’è molta ipocrisia diffusa e molta disattenzione nel vivere quotidiano, per questo anche l’impegno che condivido con l’associazione, è fondamentale».
Elisabetta Zamparutti e Sergio d’Elia, di Nessuno tocchi Caino, hanno ricordato quanto l’esperienza di Enzo Tortora riesca ancora a segnare il loro impegno. «Ripensando alle parole su Tortora mi viene da pensare all’innocenza – ha detto Zamparutti – Segno sotto al quale si è svolta tutta sua la vicenda giudiziaria. Credo che tramite “Nessuno tocchi Caino” si riesca a portare tutti a conoscenza di come sono le carceri e di cosa succede al loro interno. Lì ci sono persone che hanno sbagliato ma che cercano di riconquistare quell l’innocenza perduta – conclude – Una conquista che arriva dopo la consapevolezza dell’errore che forma la coscienza. Mi rendo conto che parlare del carcere in questi termini, è quasi come illustrare una rivoluzione copernicana in un paese che tratta il carcere sostanzialmente come mezzo punitivo, ma non rinuncio a questa sua missione».
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Nato a Grosseto, pare abbia scelto quasi da subito di fare l’astronauta, poi qualcosa deve essere cambiato. Pallino fisso, invece, è sempre rimasto quello della scrittura. In redazione mi hanno offerto una sedia che a volte assomiglia all’Apollo 11. Qui scrivo, e scopro. Maremma Oggi il giornale on line della Maremma Toscana - #UniciComeLaMaremma
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