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Il grido di don Enzo: «Grosseto città indifferente»

Amara riflessione di don Enzo Capitani, direttore della Caritas: «Abbiamo fagocitato le tragedie. Ripartiamo dalla condivisione»
Don Enzo Capitani, prete a Grosseto e cittadino nel mondo
Don Enzo Capitani, prete a Grosseto e cittadino nel mondo

GROSSETO. Don Enzo Capitani, che ama definirsi “prete a Grosseto e cittadino nel mondo“, è un’istituzione in città. Perché ha la carica di direttore della Caritas, ma soprattutto perché quello che fa adesso con la Caritas lo fa da sempre, stando vicino agli ultimi.

Quando lo incontri sulla strada fra il carcere, dove va a portare conforto ai reclusi, e la sede della Caritas, spesso scuote la testa e sorride. Come a dire “viviamo in una città che sa solo scrollare le spalle, una città indifferente”. Travolta da tempo – aggiungiamo noi – solo da stupide polemiche.

Adesso affida a una lettera aperta una sua riflessione proprio, appunto, sull’indifferenza di Grosseto. Con un titolo chiarissimo: “Coinvolgimento versus indifferenza”.

Don Enzo: «La nostra indifferenza fagocita le tragedie»

«Sono tornato ormai da qualche tempo dal mio soggiorno in alcune missioni del Kenya – scrive don Enzo Capitani – e quello che mi colpisce è la conferma che qua l’indifferenza regna sovrana ed è la cifra del nostro agire quotidiano».

«Tre sono i fatti che la nostra indifferenza è riuscita a fagocitare e a far sparire in questi tempi:»

  1. La guerra in Ucraina che solo la nostra paura di esserne coinvolti tiene viva. Ma chi si ricorda ancora dei milioni di persone che sono state costrette a lasciare la loro terra? Anche noi a Grosseto ne abbiamo accolte alcune centinaia, siamo stati generosi, abbiamo aperto le nostre case. Ma dopo qualche settimana ci siamo stancati e abbiamo deciso che altri se ne dovevano interessare e quindi provvedere.
  2. Il terremoto in Siria e Turchia. Qui abbiamo fatto peggio e abbiamo deciso chi fosse in grado di colpire la nostra momentanea attenzione; e abbiamo scelto di parlare del dramma e dei poveri della Turchia, relegando in qualche trafiletto secondario le notizie sui poveri della Siria. E così siamo diventati giudici inappellabili delle sofferenze altrui, stabilendo di chi interessarci, di chi parlare o tacere.
  3. La tragedia di Cutro, Perché di questo si tratta e non di un naufragio. Abbiamo versato lacrime in abbondanza davanti alle bare e ai corpi dei bambini. Abbiamo deciso di trasformare piccole scarpe, piccoli giocattoli portati dal mare, in reliquie. Ma a che cosa servono le reliquie se non a tramandare la memoria di un fatto? E di queste reliquie in questi tempi ne abbiamo molte! Evidentemente c’è qualcosa che non torna ed è il fatto che l’indifferenza ha asciugato le nostre lacrime e sparso al vento le parole e le proposte politiche pronunciate al momento».

Don Enzo: «Usiamo per tutti il termine persona»

«Che fare? – scrive ancora don Enzo – Il mio personale andare per missioni – India, Bolivia, Kenya – mi insegna che io sono parte di una umanità; che niente mi è estraneo ma tutto mi appartiene».

«E come scriveva John Donne: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te”».

«Il confronto con altre culture, religioni, usi e costumi mi insegna che è importante cambiare il nostro linguaggio abituato a rinchiudere gli altri in ruoli che non li comprendono perché vuol dire identificarli con i fatti che vivono; dovremmo smettere di dire migranti, senza fissa dimora, invisibili, sfrattati, carcerati, ecc; questa modalità ci fa sentire diversi e distanti da loro, esasperando i conflitti; l’identificazione con il termine persona, li rende invece uguali a me qualunque situazione gli altri vivano diversa dalla mia, e la contaminazione e il coinvolgimento, in questo modo, sono resi più fattibili e più reali».

«L’alternativa è inevitabilmente la solitudine e per uscirne non conosciamo altro che la violenza e il conflitto».

 

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