Gessi rossi, anche la sindaca Travison tra gli indagati | MaremmaOggi Skip to content

Gessi rossi, anche la sindaca Travison tra gli indagati

Ecco chi sono i cinque. Oltre alla sindaca ci sono tutti i dirigenti dell’azienda dal 2010 a oggi. L’accusa, da dimostrare, è inquinamento
I controlli dei carabinieri
Gli uomini del Noe in azienda

SCARLINO. C’è anche la sindaca di Scarlino, Francesca Travison, tra gli indagati dalla Procura distrettuale antimafia di Firenze nell’ambito dell’inchiesta dei carabinieri del Noe sui gessi rossi utilizzati per il ripristino ambientale e morfologico dell’ex area di Montioni. Il nome di Francesca Travison non è stato iscritto nel registro degli indagati dal sostituto procuratore Giulio Monferini come persona fisica, ma come persona giuridica proprio perché, in quanto prima cittadina del Comune di Scarlino, Travison è la legale rappresentante del Complesso agricolo forestale regionale delle Bandite di Scarlino.

Indagati, sempre come persone giuridiche, il legale rappresentante della Tioxide, della Huntsman, della Venator e della Sepin, la società che gestisce la cava di Montioni.  La differenza tra persone fisiche e giuridiche, in questo caso, non è una differenza di poco conto: nel caso in cui l’inchiesta arrivasse a processo, gli enti rappresentanti, laddove venissero giudicati colpevoli dei reati,  sarebbero condannati solo al pagamento di una sanzione amministrativa, ma nessuno di loro avrebbe responsabilità penale in un eventuale procedimento. A  loro viene contestato di aver gestito abusivamente grandi quantità di gessi rossi «al fine – si legge nell’avviso di garanzia – di far conseguire un ingiusto profitto all’Ente rappresentato». Se infatti i gessi rossi fossero stati smaltiti in discarica, questo tipo di operazione sarebbe costata molto di più. 

Diversa la posizione delle cinque persone che risultano personalmente indagate e che hanno ricevuto, anche loro,  l’avviso di garanzia contestualmente al decreto di perquisizione della Dda. Un atto dovuto, quello della Procura distrettuale fiorentina, che consentirà agli indagati di poter produrre tutto il materiale che riterranno opportuno e che potranno così nominare i propri consulenti per partecipare alle operazioni dei periti.

lo stoccaggio di gessi rossi a Montioni
lo stoccaggio di gessi rossi a Montioni

Gli indagati sono: Giovanni Fusco, 55 anni, legale rappresentante della Venator Italy srl, Riccardo Biasci, 74 anni, originario di Pontedera in provincia di Pisa, legale rappresentante della Sepin srl, gestore dell’impianto di recupero dei rifiuti che si trova a Poggio Speranzona e a Poggio Bufalaia, nel comune di Follonica, Valter Musso, 63 anni, legale rappresentante della Tioxide, prima che diventasse Huntsman e ora Venator, Francesco Pacini, 57 anni, ex amministratore delegato della Huntsman e Patrizio Biagini, 64 anni, responsabile delle Bandite di Scarlino.

Per questi ultimi l’ipotesi di reato è quella di inquinamento: secondo la Dda, gli indagati avrebbero «gestito ingenti quantitativi di rifiuti contenenti ossido di titanio, denominati gessi rossi – si legge nell’avviso di garanzia – con caratteristiche chimico fisiche non compatibili con le modalità di recupero a cui erano destinati, segnatamente quale recupero ambientale nella cava dismessa di Montioni».

Il periodo preso come riferimento dalla direzione distrettuale antimafia è quello che va dal 2010 a oggi.

Sequestrati gli hard disc

Hard disc, documenti, registro di carico e scarico dei rifiuti per verificare l’entità complessiva per anno dei rifiuti conferiti all’impianto di recupero, ma anche documentazione contrattuale e ogni altro documento possa servire a ricostruire i rapporti tra la società di produzione dei rifiuti e la società di gestione dell’impianto di recupero, «anche in relazione al suo controllo societario – scrive ancora il magistrato – alla distribuzione degli utili, alla nomina degli amministratori, ai rapporti commerciali produttivi di poste in bilancio di ciascun ente, ai costi e ricavi».

LogoLEGGI ANCHE: Inchiesta sui gessi rossi. Gli ambientalisti: «Lo diciamo da anni»

Anche la documentazione sulla gestione dell’attività, il rispetto dei limiti autorizzativi e i flussi complessivi di rifiuti e ricavi, così come la documentazione dei rapporti intrattenuti tra le società e gli enti pubblici e quelle con i laboratori analisi sono stati posti sotto sequestro dalla Dda.

L’indagine del Noe

L’inchiesta che ha portato questa mattina al blitz dei carabinieri del Noe alla Venator di Scarlino, affonda le radici in quella avviata dagli stessi militari nel 2013 e che era andata avanti fino al 2015, quando i risultati delle analisi effettuate sui gessi rossi prodotti dall’azienda del Casone e poi utilizzati per il ripristino della cava di Montioni avevano fatto emergere che la concentrazione di alcuni elementi chimici, fosse maggiore rispetto al limite consentito.

Risultati questi, che erano stati raccolti dal Noe e inviati alla Procura di Grosseto che per competenza aveva mandato tutto alla Dda di Firenze, dal momento che si tratta di reati ambientali. Sulla questione partì poi la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite legate al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali. Contemporaneamente però, nel 2015 e nel 2017, la Regione si era attivata per far ottenere due deroghe ai limiti di legge europei per consentire di miscelare i rifiuti fanghi rossi con un altro rifiuto. 

Blitz alla Venator
Blitz alla Venator

Abusiva gestione dei rifiuti attraverso il recupero ambientale delle cave: è questo che ipotizza la Dda, che ha dato mandato a due consulenti tecnici, il geologo Marcello Panarese e Gianluca Lattanzi, amministratore della B&A Consultancy  e agli uomini del Noe di fare nuovi campionamenti per fotografare lo stato della cava di Montioni, ma anche di effettuare nuove analisi sui gessi rossi prodotti dalla Venator. I consulenti dovranno quindi prelevare i campioni dei gessi rossi e dei terreni interessati alla produzione e allo smaltimento, ma anche quelli delle acque superficiali, quelle dei corsi d’acqua che passano sotto o accanto alla fabbrica del Casone o dell’acqua dei pozzi di emungimento della falda che si trova sotto o a valle dell’impianto, per vedere se le acque siano state o meno contaminate.

 

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