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Concorso beffa, archeologi e architetti vincono il ricorso

Il tribunale amministrativo bacchetta il Mibac e lo condanna a pagare il risarcimento dei danni

GROSSETO. Ad aprile dell’anno scorso, il concorso indetto dal Ministero dei Beni culturali per 500 tra archeologi, architetti, assistenti tecnici di cantiere, ingegneri, storici dell’arte e tecnici contabili sollevò polemiche a non finire. A fronte infatti di standard molto elevati, il ministero chiedeva, anziché la presentazione del curriculum, una “sintetica lettera di presentazione di 2.500 battute”. Senza però indicare che chi avesse sgarrato, sarebbe stato escluso

«Più lunga di una lettera», ma non era vero

Molti degli esclusi da quella selezione, alla quale hanno partecipato numerosi professionisti grossetani, hanno deciso di presentare ricorso al Tar e da qualche settimana è cominciata la pubblicazione delle sentenze. Tutte favorevoli ai partecipanti, come quelle  – le più recenti – che riguardano un archeologo e un architetto che erano stati esclusi dal ministero perché la loro lettera di presentazione era troppo lunga: così, almeno, era stato riportato nelle motivazioni del ministero, anche se in realtà le cose stavano diversamente. 

L’archeologo, ad esempio, aveva inviato una lettera di presentazione di 2.499 caratteri. Che – con ogni probabilità – non erano stati contati. 

Il bando era stato indetto per 500 professionisti che avrebbero collaborato con le varie Soprintendenze in Italia. Contratti a partita Iva, a tempo determinato della durata di sei mesi. 

Le modalità di selezione però, aveva suscitato un vespaio tra i partecipanti e quando, una volta arrivato l’esito della selezione, molti si erano trovati esclusi a causa o della lunghezza della lettera oppure della firma apposta in maiuscolo o ancora per altri vizi di forma, in diversi hanno deciso di rivolgersi al Tribunale amministrativo. 

Il Tar riconosce il valore dei candidati

Non capita spessissimo di leggere una sentenza nella quale viene riconosciuto il valore dei candidati, come in questo caso, dove i giudici della Sezione seconda quater del tribunale amministrativo del Lazio (presidente Donatella Scala, consigliere Marco Bignami ed estensore Roberta Mazzulla) scrivono chiaramente che: «un’interpretazione escludente della disposizione in parola (ovvero quella di escludere chi ha scritto una lettera più lunga di 2.500 parole, ndr) – per come operata dall’amministrazione, sarebbe del resto stata illogica, irragionevole e viziata da difetto di proporzionalità»

E questo perché «impedirebbe ai candidati – prosegue la sentenza – in possesso di un’ampia qualificazione culturale e professionale di illustrare compiutamente il proprio percorso formativo, con conseguenziale restrizione della cosiddetta platea dei concorrenti a detrimento dello stesso interesse della pubblica amministrazione alla selezione del migliore». Insomma, se un candidato ha titoli ed esperienza, deve poterle esprimere con i caratteri di cui ha bisogno. 

I giudici hanno quindi riconosciuto la fondatezza dei ricorsi presentati non solo nella parte in cui era stata ritenuta illegittima l’esclusione ma anche laddove avevano richiesto il risarcimento danni, commisurandolo al valore del contratto. Valore che per sei mesi si aggirava intorno ai 16.000 euro Iva inclusa

Il provvedimento di esclusione quindi è stato annullato e chi aveva partecipato e vinto la selezione, dopo che il Ministero ha rinnovato i contratti di collaborazione per altri sei mesi, ha potuto ottenere l’incarico desiderato. Il Mibac è stato infatti condannato a risarcire il danno per 12.000 euro e a pagare le spese di lite, liquidate in 1.500 euro. 

 

 

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