PIOMBINO. L’archeologia preventiva potrebbe essere drasticamente ridimensionata. È questa la preoccupazione sollevata dall’archeologa Carolina Megale di Piombino, che lancia l’allarme dopo la presentazione dell’emendamento 108.0.11 alla legge di Bilancio 2026.
Una modifica che — se approvata — cambierebbe radicalmente la gestione dei terreni destinati a nuove costruzioni.
Secondo Megale, il rischio è uno: «Eliminare di fatto l’archeologia preventiva, permettendo interventi edilizi in aree non vincolate senza alcuna valutazione preliminare del potenziale archeologico». Un passaggio che all’apparenza potrebbe sembrare burocratico, ma che in realtà ricadrebbe sui cantieri, sulle aziende e sul patrimonio culturale del Paese.
Che cos’è l’archeologia preventiva e perché è obbligatoria
L’archeologia preventiva è il sistema di analisi preliminare dei terreni prima dell’avvio di un’opera pubblica o privata.
Serve a verificare se sotto il suolo ci siano resti archeologici non ancora noti, evitare che i lavori li danneggino o li distruggano, permettere interventi tempestivi senza bloccare i cantieri, tutelare un patrimonio che spesso non è visibile in superficie.
È una procedura che coinvolge geologi, archeologi e tecnici specializzati, introdotta per evitare sorprese durante i lavori, non per rallentare lo sviluppo.
Cosa cambierebbe con l’emendamento alla legge di Bilancio
L’emendamento 108.0.11 propone di escludere l’archeologia preventiva nelle aree non sottoposte a vincolo.
In altre parole se un terreno non è già riconosciuto come area archeologica non sarebbe richiesto nessun controllo preliminare e il cantiere potrebbe partire senza verifiche.
Un approccio che, secondo Megale, ignora un fatto storico fondamentale: in Italia la maggior parte delle scoperte archeologiche avviene in aree non vincolate, proprio grazie ai controlli preliminari.
Il rischio concreto: cantieri fermi e investimenti bloccati
L’archeologa lo spiega con parole molto semplici: «Se durante i lavori emergono resti archeologici, i cantieri si fermano. Si bloccano le consegne, si perdono soldi e investimenti».
Senza l’archeologia preventiva le aziende iniziano a costruire senza sapere cosa c’è sotto, eventuali ritrovamenti obbligano all’immediata sospensione dei lavori e aumentano i costi, aumentano i tempi, aumenta il contenzioso.
La misura, paradossalmente, rischierebbe di produrre l’effetto opposto a quello dichiarato: invece di semplificare, creerebbe caos.
«È come eliminare la prevenzione medica»
Megale usa un paragone netto: «Sarebbe come eliminare la prevenzione e scoprire troppo tardi una malattia».
L’archeologia preventiva, infatti, non è un ostacolo allo sviluppo ma uno strumento per anticipare i problemi.
Sapere prima cosa c’è nel sottosuolo permette di pianificare i cantieri, valutare varianti progettuali, evitare esplorazioni d’urgenza e programmare interventi in modo efficace.
Un patrimonio da proteggere, anche quando è invisibile
L’Italia è uno dei Paesi con la più alta densità archeologica al mondo. Molti siti sono già noti e protetti, ma moltissimi — forse la maggior parte — sono ancora da scoprire.
Senza le indagini preventive, quel patrimonio rischia di essere compromesso o distrutto prima ancora di essere documentato.
Un appello al legislatore
Gli archeologi e una parte dei tecnici del settore chiedono che il Parlamento rifletta prima di approvare modifiche che possono avere ripercussioni su tutela del patrimonio culturale, sicurezza dei cantieri, tempi delle opere pubbliche e private e investimenti di imprese e amministrazioni.
«Non può essere accettato» conclude Megale, ribadendo che la prevenzione è una garanzia per tutti: cittadini, imprese e istituzioni.