GAVORRANO. L’iniziativa sulla presenza del caporalato che si è svolta a fine novembre a Suvignano (SI), ha evidenziato come questo deleterio aspetto del lavoro precario sia presente anche in Maremma e nel grossetano.
Anche nelle colline metallifere sono molti i braccianti che partono per andare lavorare nei campi, negli oliveti, nei vigneti con un sistema di sfruttamento intollerabile.
A dirlo è l’assessore alla legalità Massimo Borghi, che da anni fa parte di Avviso pubblico, la rete italiana di enti locali e Regioni che si occupa di prevenire e contrastare mafie e corruzione attraverso l’informazione e la promozione della legalità sia tra amministratori pubblici che tra i cittadini.
Tra le iniziative fatte c’è forse quella più importante e cioè “la rete” tra enti per una pubblica amministrazione più trasparente e unita. A Suvignano si sono incontrati i rappresentanti di Avviso pubblico insieme a Flai Cgil di Grosseto e Siena.
Il risultato non è incoraggiante e per questo abbiamo fatto alcune domande proprio all’assessore Borghi.
Borghi: «Caporalato gestito dalla malavita»
Assessore Borghi, il caporalato che in Italia è perseguibile per legge dal 2016, era un sistema per lo più in uso in altre zone d’Italia soprattutto quelle più meridionali. Come è possibile che un metodo simile sia arrivato anche da noi?
«Merita ricordare, proprio perché nelle nostre zone non si era mai manifestato, che il caporalato è un sistema illegale di intermediazione e sfruttamento del lavoro. È rivolto come spesso accade alle parti più deboli della società come lo possono essere migranti, stagionali o persone vulnerabili. A gestire la cosa c’è il così detto “caporale” che cerca manodopera per destinarla a terzi (imprenditori agricoli, edili, ecc.) imponendo condizioni di lavoro disumane: paghe bassissime, orari massacranti, assenza di sicurezza e diritti, spesso tramite violenza, minacce e approfittando della condizione di bisogno dei lavoratori. Questa premessa è di fondamentale importanza per poter rispondere alla sua domanda inquadrando allo stesso tempo la situazione generale. Il caporalato infatti è spesso collegato a organizzazioni criminali e mafiose ed ha raggiunto la Toscana semplicemente attraverso le persone che sono venute quassù per motivi di lavoro o per crearsi un’alternativa di vita».
Ma quello che lei afferma era già noto, oppure è emerso solo dopo l’iniziativa svoltasi a Suvignano?
«Le rispondo così: lo scorso 18 gennaio, quasi un anno fa come amministrazione comunale, abbiamo tenuto un convegno su questo argomento insieme ad Avviso pubblico, tutti i componenti sindacali della Flai Cgil provinciale e nazionale e la Cia. È stato il primo convegno tenuto da un Comune della Maremma su questo tema; la partecipazione è stata tanta e importante e il parterre di relatori di indubbia qualità e competenza. Nonostante questo qualcuno – come spesso succede quando si affrontano problematiche che stanno tra il grigio ed il nero, sino a sfociare nell’illegalità – ha provato a sminuire il lavoro fatto affermando che questi sono problematiche che non ci riguardano e che se si vuole parlare di caporalato dobbiamo scendere a sud, Agro Pontino, Puglia, Calabria, Sicilia e che sarebbe meglio dedicare tempo ed energia ai problemi veri dei cittadini invece di parlare di cose astruse e fuori dal nostro contesto. Credo che non ci sia risposta più esaustiva alla sua domanda»..
Cioè lei mi sta dicendo che il convegno fu fatto perché già un anno fa c’erano dei sentori?
«Assolutamente sì, più che dei sentori direi. D’altra parte serve a questo “la rete” di Avviso pubblico».
Allora c’era qualcuno che sottovalutava o non voleva vedere?
«Esatto. Si finge di non vedere e di non conoscere il caporalato, mentre lo sfruttamento totale di manodopera in agricoltura è un fatto vero e non smentibile, è una realtà in provincia di Grosseto, come in quella di Siena. Ogni giorno si portano uomini a lavorare nei campi, negli oliveti, nei vigneti non solo del senese ma anche in Umbria e nel nord del Lazio, con un sistema di sfruttamento intollerabile per quanto risulti organizzato in maniera tale che molte volte, ad osservatori superficiali, può sembrare legale».
«Non si faccia finta che il caporalato non esista»
Come avete intercettato questa situazione?
«La presentazione del report delle Brigate del Lavoro, vero e proprio sindacalismo di strada, ha intercettato centinaia di braccianti nei punti di reclutamento della manodopera agricola. Sono stati individuati e contattati oltre 600 lavoratori, per lo più migranti da impegnare nei lavori agricoli con salari quasi inesistenti, molte volte erogati in nero. All’incontro di Suvignano – tenuta sequestrata alla mafia siciliana- è stato presentato un dossier tanto vero per quanto drammatico; da qui arriva anche un appello alle istituzioni perché attivino strumenti di controllo reale, con sistemi stabili di tutela dei lavoratori, di trasparenza delle filiere, certificazioni di lavoro corretto e buono, ed impegno concreto sul territorio. Quell’incontro rappresenta oggi un punto di non ritorno nella lotta contro lo sfruttamento in agricoltura, nessuno può far più finta che il caporalato non esista. Noi di Avviso pubblico, non abbiamo mai voltato il capo dall’altra parte, condividiamo sia la denuncia doverosa e provata fatta da Flai Cgil, sia alcune soluzioni che il sindacato ha individuato e che sta portando avanti. Per questo la battaglia contro il caporalato è la nostra battaglia, siamo disponibili a collaborare e sostenere qualunque iniziativa il sindacato voglia prendere, mettendo a disposizione l’Osservatorio sulla criminalità organizzata di Gavorrano e gli uomini che questa problematica seguono e contrastano a tutti i livelli».
Assessore Borghi, secondo lei c’è anche un po’ di paura di parlarne da parte dei cittadini?
«Sul tema ritengo che non ci sia paura, ma sottovalutazione di quello che ci succede attorno. Poi c’è anche una parte della società, anche in zone a noi vicine, che sfrutta sia gli uomini che le donne in varie attività non solo quelle agricole, ma anche edili, alberghiere oppure nella ristorazione: ecco, in questi ambienti purtroppo c’è omertà».




