GROSSETO. Una passione tramandata di generazione in generazione, uno sport spesso visto male ai giorni nostri e accompagnato anche da diversi insulti: questa è un po’ la caccia in Maremma. L’arte venatoria è parte della tradizione maremmana, radicata in profondità. Una passione non sempre compresa, spesso giudicata come mera voglia di uccidere animali.
Nelle nuove generazioni questo interesse si sta un po’ perdendo e nelle squadre di cacciatori i giovani sono davvero pochi. Tra loro c’è Sharon Tinturini, 30 anni, che qualche giorno fa ha sparato al suo primo cinghiale.
«La mia è una famiglia di cacciatori e questa passione nasce dalla condivisione di momenti in mezzo alla macchia. Non si tratta solo di sparare, ma di stare a contatto con la natura e con il proprio cane – dice Sharon – Non tutti capiscono la caccia e va bene così. L’unica cosa che mi dà fastidio è quando iniziano a insultarci e a dirci che siamo degli assassini».
Il primo cinghiale preso
La passione di Sharon è iniziata quattro anni fa, dopo aver allevato una cucciolata di setter.
«Ho preso il porto d’armi e ho iniziato a cacciare. Nella macchia e nel bosco mi sento in un luogo protetto – racconta – Dietro c’è molto studio per riconoscere il genere e l’età degli animali, e ci impegniamo sempre a rispettare la natura. Un vero cacciatore non spara a una beccaccia se sa che si sono riprodotte poco, così come non colpisce un cinghiale troppo piccolo. E, soprattutto, segue le regole».
La 28enne ha sparato per la prima volta a un cinghiale in una situazione tutt’altro che semplice, per via del ruolo che ricopre nella squadra di Montorsaio, “I Verri di Maremma”.
«Io sto nella parte che deve “parare” e mandare il cinghiale verso la posta, cioè dove ci sono i tiratori. Ho provato a spingerlo in quella direzione, ma mi si è parato davanti e quindi ho sparato – dice Sharon – Alla caccia al cinghiale vado con mio nonno e ho visto nei suoi occhi l’orgoglio quando ha saputo che ero stata io a prenderlo. È stata un’emozione unica, piena di adrenalina, anche con un po’ di paura».
La caccia per Sharon
Per la giovane cacciatrice, la caccia è tradizione e passione, soprattutto quella alla beccaccia.
«Mi sento un tutt’uno con la natura quando vado a caccia e posso stare vicino ai miei cani, che sono fondamentali – spiega – Senza di loro non faremmo molto: trovano le prede e ce le riportano, anche quando siamo al capanno».
Lo sport venatorio ha radici profonde nella cultura maremmana e, allo stesso tempo, è vero che i cacciatori svolgono anche un ruolo di regolazione delle specie sul territorio.
«Abbiamo molto rispetto per la natura, seguiamo orari e leggi per praticare questo sport – dice Sharon – La caccia esiste da sempre ed è brutto sentirsi dire che siamo assassini. Anche perché senza i cacciatori ci sarebbero problemi per l’agricoltura e un maggiore avvicinamento degli animali pericolosi all’uomo o agli animali domestici».



