GROSSETO. Falsi contratti di affitto usati per ottenere il rinnovo o il rilascio dei permessi di soggiorno. Sono sei le persone i cui nomi sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura, accusate di aver creato un sistema di frodi che avrebbe aiutato circa sessanta cittadini stranieri a ottenere documenti in modo irregolare.
Le indagini, portate avanti dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza, sono partite da controlli fiscali su due società edili della provincia. Durante le verifiche, i finanzieri hanno trovato movimenti di denaro sospetti e decine di contratti di locazione registrati a nome di cittadini, in gran parte provenienti dal Bangladesh.
Case mai affittate e documenti falsi
Da un controllo più approfondito è emerso che molti di quei contratti riguardavano case mai affittate davvero o intestate a persone che non avevano alcun titolo di proprietà. In alcuni casi, i proprietari erano completamente all’oscuro dell’esistenza dei documenti.
Gli investigatori hanno ricostruito un sistema ben organizzato: venivano prodotti documenti falsificati per far sembrare che gli stranieri avessero una casa in affitto, requisito richiesto per i permessi di soggiorno o per il ricongiungimento familiare.
In cambio, i cittadini stranieri avrebbero pagato somme di denaro anche consistenti, convinti che così avrebbero ottenuto più facilmente i documenti.
Attraverso incroci di dati tra contratti registrati, utenze domestiche e dichiarazioni dei veri proprietari, la Guardia di finanza ha scoperto numerose irregolarità. Molti appartamenti, in realtà, erano disabitati o non agibili.
Nei guai un professionista grossetano
Tra i sei indagati figurano i titolari delle due aziende coinvolte, due cittadini bengalesi che avrebbero fatto da intermediari e un professionista grossetano incaricato di certificare le pratiche.
Secondo l’accusa, quest’ultimo avrebbe firmato anche le false attestazioni di idoneità alloggiativa, necessarie per i controlli da parte di Comune, Prefettura e Questura.
L’inchiesta è stata coordinata dalla Procura di Grosseto e diretta dal colonnello Diego Patriarca.



