GROSSETO. Architetto, urbanista, firma di alcuni interventi più significativi della Grosseto contemporanea — fra cui la ristrutturazione della biblioteca Chelliana e, ultimo in ordine di tempo, il tempio crematorio di Sterpeto — Roberto Aureli vive e osserva ogni giorno il centro storico.
La sua è una riflessione lucida e amara su ciò che Grosseto è diventata: una città cresciuta molto, forse troppo, e spesso nella direzione sbagliata.
Un racconto che attraversa un secolo di trasformazioni, fra addizioni mancate e sottrazioni irreparabili.
Le piogge e il problema irrisolto della città divisa
Le tradizionali e cicliche piogge di questi giorni hanno avuto il “merito” di ricordarci che la città è ancora divisa in due parti dall’ottocentesco tracciato ferroviario. Problema mai risolto che induce una riflessione critica sulla smisurata e sguaiata crescita della nostra Grosseto.
Le addizioni: una città cresciuta in modo sregolato
Da sempre lo sviluppo urbanistico delle città è stato caratterizzato da incrementi di edifici (volumetrie) con le relative infrastrutture di collegamento (ferrovie, strade, ponti ecc.ecc.) in sintesi complesse addizioni.
Per chi ricorda un po’ di storia dell’architettura sovviene proprio il noto ampliamento di Ferrara di Biagio Rossetti voluto da Ercole d’Este in pieno Rinascimento chiamato appunto “addizione erculea”.
Anche Grosseto ha avuto i suoi piani di ampliamento, le sue addizioni. Soprattutto negli ultimi decenni chiamati, forse impropriamente, piani regolatori. Regolatori (poco) di centinaia di migliaia di nuovi metri cubi che hanno dilatato la città a dismisura consumando irrimediabilmente nuovo territorio. Male italico che vede un territorio fragile come il nostro subire ciclicamente alluvioni e danni ambientali disastrosi.
Grido d’allarme inascoltato lanciato più volte dallo storico Salvatore Settis già rettore dell’Università di Pisa. La nostra città negli ultimi anni è notevolmente cambiata caratterizzandosi da estese lottizzazioni tali da renderla quasi tutta irriconoscibile ed anonima periferia .
Le sottrazioni: ciò che Grosseto aveva e non ha più
Ma l’aspetto probabilmente più curioso e sfuggente è il tema delle sottrazioni che ha subito la città nell’ultimo settantennio. Grosseto ha avuto un moderno centro intermodale (ferro/gomma) oggi scomparso, a ridosso del tracciato ferroviario con binari fino all’imponente silos del consorzio agrario.
Ha avuto un aeroporto civile che movimentava oltre 20.000 pax annui con voli charter ed una linea estiva giornaliera Mi/Gr/Roma. Oggi lo scalo civile serve solo ai pochi che hanno l’aereo privato.
Aveva un’efficiente stazione ferroviaria piena di personale e con continui collegamenti sull’asse Genova Roma. Vedere oggi i circa 7 ettari occupati dal sito ferroviario con palazzine chiuse e depositi abbandonati suscita sgomento in relazione al tanto inneggiato ed ecologico trasporto su ferro.
Infrastrutture mancate e progetti abbandonati
Parlando poi del trasporto su gomma come non citare la mancata realizzazione del cavalcavia tra via della Pace e via Collodi in Barbanella superando così gli anacronistici pericolosi e spesso allagati sottopassi e, soprattutto, la vagheggiata realizzazione del tracciato (collinare auspicabile) dell’autostrada tirrenica.
Progetti già in previsione dagli anni ‘60 ma sottratti inspiegabilmente alla loro fondamentale attuazione per Grosseto e la Maremma tutta.
La perdita delle terme, delle corse, della memoria collettiva
Tra le sottrazioni più clamorose dobbiamo annoverare la sparizione del leopoldino centro termale di Roselle. Rimasto in funzione per più di cento anni fino all’ultima alluvione del 1966.
Tra le più recenti citiamo quello che è il simbolo della Maremma: il cavallo e le sue corse. Corse che si svolgevano fin dal settecento tra l’Ombrone e porta Vecchia tanto da lasciare il toponimo di via dei “berberi “ oggi chiamata via dei Barberi in omaggio ai cavalli che vi correvano.
Il bellissimo Casalone di Grosseto, che ha accolto migliaia di corse, oggi non esiste più.
Il patrimonio storico cancellato o alterato
Non migliore sorte ha avuto il patrimonio storico. In centro ricordiamo l’abbattimento del palazzo dei Priori e la sparizione della chiesa di San Michele. Al parco monumentale delle Mura ,con opere del Sarrocchi, del Battelli, del Pacini e del Faccendi, sono state sottratte tutte le fontane.
Mette tristezza vedere i leoni del bastione Rimembranza senza più acqua. E delle aiuole curare e fiorite non c’è più traccia, ancora oggi prive di efficiente impianto di irrigazione ed illuminazione.
Altri edifici significativi come il fronte del palazzo Cosimini, gli antichi lavatoi con capriate in legno, sono stati abbattuti per fare posto a discutibili manufatti in cemento armato (sic). Negli ultimi anni siamo stati capaci di cementificare uno storico campo sportivo (ex Monterosa) e di abbattere l’ala ottocentesca del Regio Spedale progettata dall’ing. Passerini al quale dobbiamo gran parte del patrimonio del museo archeologico.
Una città che perde identità
Dobbiamo riconoscere che viviamo in una città sempre più priva della sua memoria.
R. Park , padre della sociologica americana scriveva in, maniera poetica, che la città non è solo un insieme di edifici ma “uno stato d’animo “.
Per chi è cresciuto e vissuto in questi luoghi solo un profondo scoramento accompagna i residui di una fragile memoria cittadina.



