SAN VINCENZO. È partito senza neanche pensarci due volte, senza un’idea precisa, ha solo risposto ad un appello, ha seguito la sua indole e ha deciso di intraprendere anche quella strada, Francesco Biagini, volontario della Misericordia di San Vincenzo. Oggi racconta la sua esperienza riguardo la missione umanitaria per l’evacuazione medica di pazienti palestinesi appena vissuta.
Ma soprattutto di quanto questa esperienza lo abbia toccato nel profondo e quanto lo abbia cambiato.
Una missione partita dal cuore
Francesco ha soli 26 anni, ma è da quando ne aveva 16 che il volontariato in ogni sua forma fa parte di lui. Dalla Misericordia, alla protezione civile, la propensione verso l’aiuto del prossimo lo accompagna da sempre.
«Pratico volontariato a 360 gradi – dice Biagini – dai servizi in ambulanza con la Misericordia, alla protezione civile, all’antincendio boschivo».
Francesco Biagini ha solo risposto ad un appello: cercavano volontari che si potessero unire alla missione, ma quello che non poteva sapere è quanto questa esperienza lo avrebbe coinvolto emotivamente.
Una missione che si inserisce nel più ampio quadro del Meccanismo europeo di protezione civile.

Coordinata dal centro di coordinamento emergenze Misericordia di Pistoia, in collaborazione con il coordinamento regionale per le maxiemergenze e con la Cross, la centrale remota per le operazioni di soccorso sanitario, è stato un’operazione dove la sinergia tra le associazioni di volontariato ha vissuto un ruolo di primaria importanza per offrire cure e anche un po’ di speranza a chi fugge da contesti di sofferenza.
Gaza territorio di guerra
Gaza è territorio di guerra dall’ottobre del 2023. Una guerra che Israele sta combattendo dopo che, il 7 ottobre di quell’anno, una serie di attacchi terroristici voluti da Hamas e da altri gruppi palestinesi portò all’uccisione di 1200 fra militari e civili israeliani e al rapimento di circa 250 ostaggi.
Da allora Gaza è sotto le bombe e gli attacchi dell’esercito israeliano e in una guerra che non sembra avere una fine, le vittime sono state decine di migliaia. In questo contesto sono molte le associazioni umanitarie presenti sul territorio che, per quanto possono, tentano di dare una mano alla popolazione civile.

La partenza
Francesco è partito martedì 10 giugno, da Pisa, insieme agli altri volontari con uno dei tre aerei C130 dell’Aeronautica militare messi a disposizione per poi atterrare in Israele, dove ha dormito una notte. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio tutti sono ripartiti, ognuno con le destinazioni assegnate, imbarcando su tre voli diversi i pazienti in base alle loro esigenze mediche.
Dell’idea che si era fatto prima di partire Francesco racconta: «Non mi aspettavo niente, non avevo idea di che cosa avrei trovato una volta arrivato dall’altra parte del mondo – dice – Sapevo solo che dovevo trovarmi alle 6 all’aeroporto di Pisa. Forse, inconsciamente, non volevo neanche aspettarmi niente, perché nel bene o nel male, quando ti fai un’idea il più delle volte quello che ti capita è completamente diverso».
Una sola certezza
«L’unica cosa che mi era chiara era il sapere che dove stavo andando era un paese distrutto dalla guerra – aggiunge – Al mio ritorno posso dire che quest’esperienza mi ha segnato in particolar modo, sia a livello culturale, che sociale che personale emotivo».
L’arrivo

«Una volta arrivati, lo scenario che mi sono ritrovato davanti era un aeroporto di massima sicurezza, dato il luogo in cui eravamo – racconta -. Abbiamo dormito lì e i pazienti sono arrivati il giorno dopo con le ambulanze del posto».
Francesco è ripartito poco dopo con l’aereo che è atterrato a Verona.
In questa missione c’era anche il piccolo Adam, il bambino che insieme alla madre ha perso tutti i membri della sua famiglia, dieci fratelli e il padre a causa di un attacco aereo.
Il volo di ritorno
Il volo portava sia pazienti che accompagnatori. Francesco di quel volo, di quella missione, di quella esperienza riesce a dire soltanto una cosa. «Gli sguardi, gli sguardi», ripete ancora.
Impauriti, devastati, stanchi, distrutti, attoniti, vuoti, quegli occhi che si fanno scuri per il dolore e la sofferenza patita.
«C’era molta gente e di varia età, dai bambini di un anno fino agli adulti anche di cinquant’anni, ed è molto difficile dialogare con i pazienti. Quasi tutti parlano la loro lingua, pochi parlano inglese. C’era una mediatrice a bordo, ma è complesso – continua – Un gesto, una coperta, una mano, uno sguardo, anche un silenzio. Tutto parlava da sé. Non parlavamo la stessa lingua ma ciò che quelle persone avevano vissuto si leggeva fin troppo bene. Ho sentito tutto sulla mia pelle».
Francesco avrà raccontato quel che ha vissuto già centinaia di volte, ma ogni volta è come se fosse la prima. La voce che trema e gli occhi che si intristiscono. Anche se solo per un giorno, l’accoglienza e il tempo del volo di ritorno, il dolore che quelle persone provavano lo ha vissuto dal vivo, lo ha sentito dentro solo stando loro vicino.
Una bambina in particolare
Un piccolo gesto, per noi quasi totalmente insignificante, ma che per qualcuno può essere il simbolo di una via d’uscita dalla guerra che ne ha sconvolto l’esistenza.

«Questa bambina era la sorella di un ragazzo che a causa di un’esplosione ha riportato gravi traumi alla gamba. Viaggiava solo con la mamma perché il padre è stato ucciso da una bomba. Con lei ho legato molto. C’è stata molta empatia fin da subito. È stata la bambina a chiedermi la foto e un semplice selfie è bastato a renderla felice e questo ha reso felice anche me. Sapere che anche solo per un attimo ero riuscito a strapparle un sorriso in un momento di devastazione e , forse, a infonderle anche un po’ di speranza, mi ha toccato molto».
Attimi vissuti che nel cuore di Francesco rimarranno indelebili, potenti, e che tra una lacrima e un sorriso, lo renderanno per sempre orgoglioso di essere riuscito a portare un po’ di gioia in una bambina che in quel momento aveva solo bisogno di incontrare qualcuno che avesse l’anima che ha Francesco e che le donasse un po’ di conforto, anche solo un abbraccio.
Il post sui social
Il post di Francesco ha attirato l’attenzione di tutti, soprattutto di chi non era a conoscenza del suo operato.
Questo tipo di esperienze cambiano e toccano nel profondo, e nel momento stesso in cui le stava vivendo, il sentimento provato era così forte che Francesco ha avuto bisogno di poterlo esprimere. Lo ha scritto su Facebook, come se la scrittura, in quel momento autobiografica, potesse in qualche modo riuscire a far capire anche a lui quello che stava vivendo.
È servito a dare una forma alle sue sensazioni, troppo intense per poter essere trattenute, troppo particolari per riuscire a trovare le parole giuste per poterle esprimere.

Alla domanda se in un futuro volesse ripetere l’esperienza risponde:
«Partirei subito, anche domani mattina. Lo rifarei perché è importante aiutare le persone che soffrono e subiscono traumi, perdite e lutti importanti a causa di una guerra non scelta da loro. C’è chi perde la casa, chi i familiari più prossimi. Danni psicologici profondi, ferite inferte senza meritarle. Io mi propongo per poter dare ancora una mano, dal momento che sono, in quanto italiano, in una condizione tale da poter dare a chi ne ha bisogno una speranza e un aiuto concreto in un momento di sofferenza».
Autore
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Collaboratrice di MaremmaOggi.Nel giornalismo non esistono sabati né domeniche, non c'è orario e neppure luogo. C'è passione, c'è talento. Il mio lavoro è il mio sorriso. Da sempre curiosa, amo il sapere: più apprendo più vorrei conoscere. Determinata o testarda? Dipende. Vivo di sogni e li realizzo tutti.
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